storia e memoria
Facanapa – rivista satirica della Umbertide di fine Ottocento
Presentazione al Museo di Santa Croce - 5 marzo 2010
​
​
​
​
​
​
​
di Roberto Sciurpa
​
​
​
​
​
​
​
​
​
​
Premessa
La presentazione di una testata giornalistica dalla vita breve che vide la luce nella nostra città, intende ripercorrere le grandezze e le miserie di un periodo storico circoscritto e bene ha fatto l'Amministrazione Comunale a curarne la riproduzione per l'alto valore civico e il significato morale che il foglio locale svolse tra il dicembre 1893 ed il luglio 1894. Si trattò di un'iniziativa coraggiosa di un gruppo di cittadini autorevoli, che presero in mano la situazione della critica e del controllo sulla pubblica amministrazione dal momento che le istituzioni deputate e legittime vi avevano inspiegabilmente rinunciato. In soli otto mesi, un foglio apparentemente senza pretese, riuscì ad ottenere quello che in venti anni si erano rifiutati di esigere i difensori e i garanti di una comunità.
​
​
​
​
​
​
​
​
Dietro FACANAPA, la maschera veneta che presta il titolo alla testata, si celano infatti denunce di patologie politiche e amministrative gravemente devianti, destinate a ripetersi, quando viene meno il senso della responsabilità individuale e collettiva, dei valori fondanti di un popolo, con il conseguente abbassamento del livello dei controlli. Può succedere, allora, che si verifichi:
- espropriazione della politica da parte di una burocrazia prevaricatrice e opaca, che risponde solo a se stessa;
- deriva pericolosa verso la corruzione e il trionfo di interessi personali;
- regia oscura di abili e spregiudicati faccendieri che manipolano la vita di una comunità al riparo del tranquillo ombrello che offre contorni umani e ambientali apparentemente pacifici e addirittura gradevoli a losche vicende.
Il quadro istituzionale
Nella città di Umbertide di fine 1800 si respirava un clima inquieto. La caduta del potere pontificio e l'annessione al Regno d'Italia, sul piano politico e istituzionale, non avevano cambiato le cose. L'agrariato locale continuava a detenere il potere, come era avvenuto in passato, dal momento che l'elettorato attivo e passivo transitava per le categorie del censo e il benestante, assieme ai beni, ereditava anche il diritto di gestire la cosa pubblica, secondo un andazzo che si perdeva nella notte dei tempi. Non è difficile immaginare lo scarso entusiasmo che i vari agrari provavano nell'assumere l'incarico di amministrare gli interessi di una comunità che spesso accettavano contro voglia, tutti presi com'erano dalla cura dei propri affari. Il salto di qualità avverrà solo nel 1909 con la conquista del Comune da parte di una borghesia guidata da Francesco Andreani che accantonò il secolare potere degli agrari ed instaurò il diritto di governare in seguito alle indicazioni del voto e non a quelle del censo.
Il quadro sociale
Sul piano sociale, l'Unità Italiana portò, invece, notevoli venti di cambiamento anche da queste parti, consentendo la nascita vigorosa dell'associazionismo di categoria, destinato ben presto a superare il mero aspetto corporativo. Si verificò un proliferare di organizzazioni come la Società dei Reduci delle Patrie Battaglie sorta nel 1883, la Società dei Muratori nel 1888, quella dei Canottieri del 1890, quella del Mutuo Soccorso e numerose altre ancora. Ma soprattutto era vivo e molto attivo il Circolo Mazzini fin dal 1877 con le sue numerose iniziative politiche, sistematicamente osteggiate dai liberali del tempo che amministravano il Comune. Il Partito Socialista locale non era ancora nato, la sezione verrà fondata nel mese di maggio del 1899, ma già a livello nazionale quel Partito aveva visibilità ufficiale da qualche anno. Nessuna meraviglia, quindi, se la mattina del 1° Maggio 1899, le guardie comunali comunicarono al Sindaco, conte Giuseppe Conestabile Della Staffa, che nella notte qualcuno aveva scritto sui muri del Palazzo comunale e in vari punti di via Cibo con nerofumo e acqua:
Viva il 1 ° Maggio
Abbasso gli sfruttatori
Abbasso il Delegato di Pubblica Sicurezza
Viva i Lavoratori
Il vento del cambiamento non riguardò solo il settore eterogeneo dell'opposizione, ma anche quello della maggioranza liberale che si divise in progressisti e conservatori con contrapposizioni spesso astiose e organi di stampa distinti e battaglieri tra loro.
Non perdiamo di vista le date per comprendere l'evoluzione politica del tempo. Facanapa sorge in questo clima di profonda aspirazione al cambiamento e di bradisismo politico, quando tra i consiglieri comunali liberali siede, ad esempio, un personaggio di rango come Benedetto Maramotti, l'ex prefetto storico di Perugia per ben 21 anni, con spiccate simpatie per la sinistra storica di Agostino De Pretis che aveva preso il potere nel 1876 e che in qualità di prefetto aveva sdoganato il democratico Ulisse Rocchi facendolo diventare sindaco di Perugia. Andato in pensione nel 1889, Maramotti si stabilì nella zona, vicino alla figlia Emma, che aveva sposato un Mavarelli, le cui consistenti proprietà si trovavano da queste parti. Da consigliere comunale di Umbertide curava più da vicino gli interessi del genero. Maramotti fu il quarto prefetto di Perugia senza essere Senatore, dopo Filippo Gualtiero, Luigi Tanari e Giuseppe Gadda, tutti e tre Senatori del Regno.
​
​
​
​
​
​
Giacomino Dal Bianco
Ma il vero motivo per cui nasce Facanapa è riposto nelle prevaricazioni del segretario comunale del tempo: Giacomino Dal Bianco.
Dal Bianco era nato nel 1850 a Velo d'Astico, in provincia di Vicenza, un comune che oggi conta 2.350 abitanti e allora ne contava anche meno. Il piccolo centro è situato tra i torrenti dell'Astico e del Posina, a ridosso di montagne impervie che solo nella parte terminale della gola si addolciscono nella fertile piana di fondovalle. Il 15 marzo del 1874, a soli 24 anni, venne nominato Segretario del Comune di Umbertide. Allora i concorsi per questo tipo di incarichi erano prefettizi e le nomine venivano conferite dal Prefetto cui i segretari comunali erano gerarchicamente sottoposti. Si trattava di dipendenti statali a tutti gli effetti, pagati, però, dai Comuni.
I verbali testimoniano, senza ombra di dubbio, che Dal Bianco era un funzionario intelligente e preparato, presente alle iniziative cittadine fino al limite dell'esagerazione. Di stazza notevole, alto ed elegante, con un faccione paffuto e rotondo, tanto da meritare il soprannome di “Luna Piena” (Full Moon) da parte di Facanapa, non disdegnava la tavola e la buona cucina che onorava volentieri. Gli impegni familiari non lo occupavano molto perché rimase fedele alla natura, scapolo com'era nato.
Sarebbe stato un ottimo e prezioso collaboratore, se non avesse avuto il difetto gravissimo di non stare al suo posto.
Approfittando di amministratori pigri e indolenti, che esercitavano il ruolo per eredità di censo e ai quali un segretario “espansivo” e intraprendente faceva comodo, Giacomino cominciò ad occupare spazi non suoi, a prevaricare competenze amministrative e prassi comportamentali che ben presto dettero nell'occhio. In più di un'occasione, la sicurezza del potere acquisito lo portò a deridere con irriverenza assessori a lui poco docili come successe quando il sindaco indicò quale suo rappresentante all'Esposizione di Città di Castello un certo amministratore e lui suggerì che sarebbe stato meglio mandarci Porrini (l'usciere!!), la stampa e la stessa popolazione di Umbertide. Nella immaginaria e ironica intervista al “Gran Soaffa” (altro nomignolo di Dal Bianco), che il redattore trova sprofondato nella sua poltrona intento a fumare un sigaro “Virginia”, il segretario dichiara come egli in città faccia il bello e il cattivo tempo: “In Municipio comando io, alla Congregazione di Carità comando io, alla Banca comando io, e poi e poi... in questo paese basta solamente promettere, sono di così buona pasta questi abitanti!”.
Stava perdendo il senso del limite, come succede sempre e in tutti i percorsi prevaricatori. Nessuna meraviglia, quindi, se sulle schede elettorali incominciò ad apparite la scritta “Umbertide agli Umbertidesi!”.
Intanto Dal Bianco accumulava incarichi e compensi pubblici ben remumerati, svolgeva consulenze private a pagamento, scriveva poco (disattendendo il consiglio del Sindaco Mauro Mavarelli) e viaggiava molto con la carrozza sempre pronta davanti al portone di casa sua in via del Foro Boario n. 6, nell'attuale Piazza Caduti del Lavoro, proprio davanti alla Rocca, e a spese dei vari Enti che rappresentava. Pubblico e privato si stavano intrecciando in maniera contorta, fino a inquinare in modo pesante l'assegnazione di numerosi appalti. Il piccolo travet, con il modesto stipendio da segretario comunale, stava facendo fortuna.
In Comune si recava quando poteva a impartire le direttive importanti, mentre capitalizzava in beni immobili gli introiti del suo ruolo di pubblico funzionario. Dal Bianco, infatti, si stabilirà definitivamente ad Umbertide e all'anagrafe risulta possidente, quindi proprietario di immobili non meglio identificati. Una cosa certa è che nella fase di primo ampliamento del cimitero cittadino, nel 1900, acquistò una cappella nell'emiciclo sinistro, la zona nobile, accanto ad altre cappelle delle famiglie agiate di Umbertide (Burelli, Santini, Ramaccioni, Savelli, Bertanzi, Confraternita di Santa Croce e della Buona Morte). In quella Cappella riposa la sua salma. Giacomino Dal Bianco morì il 20 novembre 1914 alle ore 6,10 antimeridiane, a soli 64 anni di età. Non sappiamo che fine abbia fatto il suo discreto patrimonio. A volte tra i misteri che ammantano di arcano le aspirazioni personali c'è anche quello di voler stare con i benestanti anche da morti.
Contrariamente alle previsioni ironiche di Facanapa, Dal Bianco non lasciò Umbertide e dopo il pensionamento, nel 1894, lo troviamo tra i consiglieri comunali.
L'ironia della maschera veneta diventa inesorabile e pungente:
“Egli, venuto da fuori, amò il nostro paese come il suo, e, trascurando il proprio interesse, non si occupò che di quello nostro, tanto che se ne partirà da noi umile e dimesso come venne”. Giudizi durissimi che certamente fecero rumore in Comune e in città. Le continue, precise accuse di interessi personali nel suo ruolo pubblico, e di arricchimento con loschi affari, oggi avrebbero scatenato una raffica di querele e accese battaglie legali. A quel tempio non fu così. I redattori continuarono indisturbati a pubblicare i loro articoli per altri quattro mesi: il giornale uscirà ancora con otto numeri quindicinali fino al 15 luglio 1894. Sempre nel numero del 25 marzo, colpisce l'articolo “Resurrezione” scritto da una penna finissima. Denuncia la tristezza che da tempo pervade Umbertide a causa “il disagio economico di tanti, che ogni giorno si fa più aspramente sentire”. Con fine sensibilità il redattore analizza la situazione dell'uomo costretto a combattere aspramente la vita che “non può essere allegro, non può essere buono, non può essere disposto a guardare e trattare benevolmente gli altri”. E continua: “Ogni disastro economico porta con sé uno strascico di inimicizie e rancori; e noi abbiamo nel nostro paese l'esempio di molte divisioni profonde dovute a simili ragioni”. Conclude: “In mezzo alla comune miseria c'è chi s'impingua; chi in mezzo al generale accasciamento degli animi impera; chi dalle nostre discordie trae forza e potenza”.
Parole profetiche che trasformano la satira in un editoriale serio e di tutto rispetto che in molti vorrebbero firmare.
La denuncia di irregolarità negli aggiornamenti periodici delle liste elettorali è ricorrente e documentata e rispondeva alla logica di concedere l'elettorato attivo a quei soggetti che davano maggiori garanzie nell'elezione di candidati docili al potente segretario.
Si era appropriato anche di ottocento lire dei diritti di segreteria, mai versati alla tesoreria comunale, ed era stato condannato al risarcimento da parte del Consiglio di Stato, ma nel successivo ricorso al Ministero, il Comune stranamente non si costituì parte lesa e Giacomino vinse la partita. Il ghibellino venuto dal nord, aveva creato una specie di vassallaggio feudale cui gli amministratori non seppero reagire. Giova ricordare che nel 1887, tra i motivi delle dimissioni del sindaco storico di Umbertide, Mauro Mavarelli, i verbali riportano l'aspra critica dei suoi stessi consiglieri per non aver allontanato dall'incarico l'ingombrante soggetto.
In questa situazione il giornale divenne un presidio di garanzia apprezzato da molti, non solo dell'opposizione, ma anche della maggioranza, e svolse quel ruolo di controllo e di critica cui gli organi istituzionali avevano inspiegabilmente rinunciato.
Ma i suoi meriti sono anche altri: i numerosi fatti di cronaca che documentano avvenimenti di vita cittadina e arricchiscono di particolari importanti la storia di Umbertide, ampiamente trattata da altri Autori; la descrizione delle condizioni misere dei contadini e delle loro abitazioni ridotte a porcili; un padronato agrario di piccola taglia rozzo e arrogante; la pellagra che rasentava picchi elevati con 341 persone affette dal male, mentre Gubbio, con un territorio assai più vasto, ne aveva cento, Foligno dodici e Nocera Umbra uno soltanto. La malattia, dopo aver debilitato le facoltà fisiche, attaccava quelle mentali e conduceva il paziente al manicomio. Ci scuserà Facanapa se aggiungiamo una postilla ai suoi numeri: sui 341 pellagrosi l'incidenza femminile era doppia rispetto a quella maschile e il fatto la dice lunga sul sacrificio silenzioso e quotidiano delle nostre donne dei campi che lasciavano i rari bocconi migliori ai loro uomini perché potessero resistere più a lungo alle avversità del lavoro.
Ben tornata tra noi simpatica maschera veneta, che dalla testata di un foglio coraggioso, sepolto nella polvere dell'oblio, coordinavi la frusta del ranocchio umbertidese, intento a colpire il losco covo di traffici sospetti!
Conclusioni
In questa breve panoramica abbiamo potuto osservare le miserie della politica espropriata da una burocrazia faccendiera e intrigante; le manovre di un personaggio capace e preparato che aveva messo le sue notevoli doti al servizio di oscuri interessi personali; le responsabilità omissive gravi e prolungate di amministratori conniventi.
Ma abbiamo visto anche le grandezze e i valori:
- di un pugno di giovani generosi e decisi a sostituirsi alle istituzioni per eliminare
la corruzione;
- il ruolo positivo della stampa che in otto mesi ha aiutato a risolvere situazioni
incancrenite da anni;
- il tono garbato di una dialettica politica serrata e mai delegittimante, condotta
da signori di altri tempi;
- il rispetto autentico anche del principale bersaglio delle invettive, verso il quale
si usa ironia sottile, mai volgarità e tanto meno offese personali. Ci sembrano valori
da esaltare non solo perché scomparsi alle soglie del terzo millennio, ma perché
indispensabili per ricostruire l'identità di un popolo partendo dalle radici di uomini
comuni che fecero crescere la coscienza civile e il senso della legalità tra la gente di Umbertide.
​
Fonti:
“UN UOMO LIBERO – Roberto Sciurpa, un appassionato impegno civile” - a cura di Federico
Sciurpa – Petruzzi editore, Città di Castello, giugno 2012
​
​