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Lamberto e la Resistenza

a cura di Isotta Bottaccioli e Francesco Deplanu

Dopo l'otto settembre del 1943 Lamberto Beatini, proveniente da una famiglia di fede repubblicana, a 19 anni rifiutò la chiamata alle armi della Repubblica di Salò e assieme ad un amico se ne andò nei boschi; dopo alcuni mesi fu catturato e rinchiuso nel carcere di Perugia; Lamberto oltre alla paura di non uscire da quel luogo disse "essere imprigionato perché rifiuti la guerra, le armi, la violenza, la sopraffazione, le ingiustizie è una cosa che ti provoca dolore e tanta tanta rabbia". Si salvò e negli anni divenne il "Maestrone", uomo di scuola chiamato così perché era alto più di 1,90 cm. Anni ancora addietro raccontò alla sua seconda moglie, Isotta, quello che accadde in quel periodo.

Isotta racconta: “molti giovani piuttosto che combattere a fianco dei nazifascisti, preferirono la macchia. Fare questa scelta coraggiosa era molto pericoloso perché si era considerati disertori e, se presi, passibili di pena di morte”. Lamberto fece questa scelta una sera del settembre 1943 insieme ad un umbertidese suo amico, Antonelli, partì alla volta di S. Cristina. I due camminarono attraverso boschi e campi e stanchi, si fermarono a ridosso di un pagliaio non lontano da una casa colonica. Si coricarono sopra un mucchio di paglia e di botto si addormentarono. Durante la notte iniziò a piovere ma i due se ne accorsero quando si svegliarono bagnati lerci. Dopo una “sgrullata” si rimisero in cammino e finalmente giunsero a S. Cristina dove, coraggiosamente, furono ospitati da un parente di Antonelli. Per Lamberto ed il compagno iniziò una vita diversa. 

La mattina presto si allontanarono dalla famiglia ospitante e stavano nascosti nei boschi vicini, all’imbrunire rientravano. Qualche sera, attraverso scorciatoie e lontano dalla strada maestra, si recavano dalla sorella di Lamberto, Costantina detta Gosta, a Civitella Benazzone che, appena li vedeva, iniziava a fare le sue buone tagliatelle. A stomaco pieno riprendevano, in piena notte, la strada del ritorno.

La mamma Anna, per rivedere il figlio, percorrendo strade alternative alle normali perché aveva paura di essere seguita, la mattina presto partiva da Umbertide per andare a S. Cristina. La strada da percorrere era lunga e tante erano le salite, ma per lei non c’erano ostacoli, né stanchezza; il traguardo era troppo prezioso per non essere raggiunto ad ogni costo. Quando i carabinieri bussavano alla porta della famiglia Beatini per chiedere dove fosse il figlio disertore, la mamma rispondeva: <<magari lo sapessi! Correrei da lui. Ho tanta voglia di rivederlo.>>.

Alla macchia i due disertori passarono tre mesi e a dicembre, forse per una spiata, furono scoperti e portati in prigione a Perugia. La permanenza durò sei mesi e segnò Lamberto tanto che quando raccontava certi episodi, a distanza di tanti anni, i suoi occhi si ombravano di tanta tristezza e qualche volta di lacrime. 

 

Dopo aver varcato la porta del carcere che Lamberto chiamava <<collegio di Piazza Partigiani>>, gli furono prese le generalità, le impronte digitali, gli fu tolto tutto ciò che aveva nelle tasche gli furono tolti la cintura e i lacci delle scarpe. In attesa di essere interrogato fu messo in una piccola cella con altri detenuti. Qualche giorno dopo iniziò il suo faticoso interrogatorio. Per alcune ore gli fu sottoposta con molta fermezza e durezza sempre la stessa domanda nella speranza di farlo cadere in contraddizione. Tanta fu la fatica mentale e la tensione che dagli alti spallini del cappotto gli usciva il sudore. Alla fine del lungo interrogatorio entrò un graduato che in maniera brusca chiese a Lamberto le generalità. <<Sono Lamberto Beatini, figlio di Antonio e di Anna Gregori>>. A questo nome il Capitano si alzò in piedi e dopo una sonora bestemmia disse <<Tu sei figlio di Anna? Lo sai che tua mamma è mia sorella di latte? ma cosa m’avete fatto fare...>>. Ma ormai Lamberto era in prigione, l’ingranaggio si era messo in moto e il superiore era anch’egli prigioniero di certe leggi. Per due o tre giorni Lamberto rimase digiuno perché il vitto del “collegio” solo a guardarlo dava il voltastomaco. Il terzo giorno la fame ebbe il sopravvento e riuscì a mangiare una brodaglia dove galleggiavano dei pezzetti di foglie di cavolo tra qualche stellina di grasso. Una volta tolse ben 17 mosche dalla brodaglia prima di mangiarla.

"Nella sua cella misero un uomo di Torgiano imputato di vilipendio del partito fascista. Questi mentre leggeva un manifesto del regime firmato dal famigerato Rocchi, fece volontariamente un enorme rutto. Successe che in quel momento passò un fanatico gerarca fascista che, preso il poverino per il bavero della giubba, lo strapazzò e lo denunciò. L’uomo venne processato e condannato ad una pena detentiva. Lo sfortunato cadde in una brutta depressione non riusciva a mangiare.

Non lontano dalla cella di Lamberto, nel cosiddetto braccio della morte, c’era un condannato. Nessuno sapeva il perché della condanna, ma tutti pensavano che fosse per ragioni politiche. I secondini raccontavano che il giovane sapeva di dover morire e ogni volta che aprivano la sua cella il giovane si trasformava. Il suo corpo si irrigidiva e la sua carnagione diventava gialla, come se il suo sangue si fermasse. Questa altalena di emozioni fortissime gli fecero perdere tutti i peli e i capelli. Una volta Lamberto lo vide passare tra due agenti e resto impressionato dalla sua testa magra, liscia, lucida come una palla di biliardo, dalle sue labbra sottili e di sangue e da due occhi neri senza ciglia e sopracciglia che sembrano uscire dalle orbite. Quella notte Lamberto non dormì perché aveva sempre davanti la e le visioni allucinanti di questo giovane. Per fortuna la guerra finì e il poveretto fu scarcerato. Ogni volta che raccontava questo episodio sul volto di Lamberto si leggeva la sofferenza e anche la rabbia per la bestialità della guerra e della dittatura. Sorte diversa tocco ad un altro giovane antifascista che fu fucilato pochi giorni prima della liberazione. Questo era Mario Bricchi, la cui sorella Gloria, fu compagna del liceo di Maria Teresa Beatini nipote di Lamberto."

Racconta Isotta che Lamberto era solito raccontare... "Quando mia figlia Anna mi chiese quale è stato il giorno più bello della tua vita io ho risposto: il giorno che sono uscito dalla prigione. Anna rimase male perché sa quanto io l’abbia desiderato, l’amore grande che provo per lei. Ma Anna è una gioia che ho assaporato minuto per minuto da quando ho saputo che esisteva, per otto mesi  è stato il centro dei miei pensieri, per cui la sua nascita è stata una lunga attesa bellissima. La mia liberazione è stata, invece, la fine di un grande incubo del quale non ero certo di poter uscire vivo. Spesso quando i  miei compagni dormivano, chiudevo anch’io gli occhi e mi mettevo a sognare. Sognavo il mio futuro  bello, sereno, luminoso, pieno di ragazze e d’amore; aprivo invece gli occhi e vedevo buio, non uno spiraglio di luce. La speranza si alternava alla disperazione e alla rassegnazione.

Una girandola di emozioni mi invadeva continuamente. Essere imprigionato a vent’anni per le tue idee che trovi giuste umane, essere imprigionato perché rifiuti la guerra, le armi, la violenza, la sopraffazione, le ingiustizie è una cosa che ti provoca dolore e tanta tanta rabbia. Ricordo, ancora con dolore tristezza, lunghi pomeriggi di aprile e di maggio, quando dietro le sbarre intravvedevo degli alberi con le loro nuove foglie, quando l’aria primaverile carica di profumi entrava nella cella, quando si sentivano richiami amorosi degli uccelli e le voci giocosi di bambini che giocavano per strada. Era l’ora di ricordi, della nostalgia, della tristezza. Allora mi sdraiavo sopra il mio "pagliuccio" epensavo alla mia famiglia ai miei amici che liberi, potevano star stare tra loro, stare con la loro ragazze, pranzare cenare con loro cari, guardare e toccare la primavera. Certe sensazioni sia belle che brutte non si possono raccontare, ma si devono vivere per sapere ciò che si prova e stare in carcere innocenti, a venti anni, quando uno come me che ama la vita la luce, il calore del sole, i colori, la gente, la libertà, l’amore, è una condizione che non auguro a nessuno."...

 

Continua Isotta: "Il 13 giugno del 1944 giorno di Sant’Antonio, la porta della prigione si aprì per Lamberto e per l’amico Antonelli. Fuori dalla porta del carcere due si fermarono, guardarono a 360° e trassero un lungo respiro di sollievo. Erano liberi insieme e iniziarono un cammino che li avrebbe riportati a casa. Passando per caso hai arrivarono a Ponte Felcino a ponte Valleceppi dove abitava la nonna Clorinda. Si presentarono tutti allegri della sua casa, ma subito sì raffreddarono perché in casa trovarlo alcuni soldati tedeschi. Il momento fu imbarazzante, ma nonna Clorinda capì la situazione e parlando e gesticolando fece capire ai tedeschi che due erano dei poveri malati di mente. Il che non fu difficile perché Lamberto, per l’assenza di movimento, era talmente ingrossato di sembrare gonfio. Vestiva dei calzoni che gli arrivavano al polpaccio delle gambe, calzava due scarpini senza lacci molto rotti, la giacca di copriva la schiena e un po’ del davanti, le maniche arrivavano poco sotto il gomito. Al contrario Antonelli, alto anch’egli, era secco secco, allampanato, spaventato, sembravo un morto che camminava. Sta di fatto che i tedeschi, come spaventati, salutarono e se ne andarono. Nonna Clorinda allora li saluto con grande calore baciandoli ed abbracciandoli, poi, svelta svelta, si mise a cucinare. Dopo essere rifocillati si misero in cammino lungo la ferrovia in direzione di  Umbertide. A Ponte Pattoli si separarono. Antonelli si diresse verso Santa Cristina dove avrebbe trovato sfollata la sua famiglia da dei parenti, Lamberto seguitò in direzione di Umbertide. La strada era molto lunga, gli scarponi si facevano sempre più pesanti, i piedi rovinati e gonfiati non ci stavano più dentro le scarpe e cominciarono a sanguinare; finalmente arrivò a Montecorona e si sentì sollevato, in vista del paese pensò all’incontro che suoi cari. Si diresse verso la casa di “Guardengolo”, un contadino che dava ospitalità alla sua famiglia e a quella di suo fratello Pietro. Intanto dalla loggia della casa colonica mamma Anna e la moglie di Pietro, Marietta, videro in fondo alla strada un omone grande grosso che camminava fatica. Le due donne, un po’ spaventate perché erano sole, si chiedevano chi mai fosse e cosa avrebbe voluto. A mano a mano che Lamberto si avvicinava faceva segni di saluto con le braccia ma le due donne rimanevano impassibili. Solo a pochi metri di distanza lo riconobbero. La mamma Anna si mise a correre piangendo di gioia e abbracciò il figlio in un abbraccio che sembrava non finire mai."

 

Il 23 luglio del 1944 Lamberto, assieme ad altri 21 umbertidesi, diede vita il Comitato Locale di Liberazione Nazionale nella sala del Consiglio comunale. Finita la guerra Lamberto si adattò a fare tanti piccoli lavori: era importante e necessario portare a casa qualcosa perché ce ne era bisogno. Lavorò per il Catasto, per il Comune, poi si mise a studiare per il concorso magistrale che superò brillantemente. Insegnò a Colmotino di Cascia, a Reschio, a Civitella Ranieri, ad Umbertide... poi insoddisfatto dell’insegnamento iniziò a lavorare nella segreteria della scuola elementare, lavoro che fece con serietà con impegno e con grande competenza fino al 1979. Riportiamo qui la lettera di saluto del Direttore Candido Palazzetti nel momento in cui Lamberto lasciò la scuola.

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Il Maestro Beatini sullo scalino ed il Direttore Candido Palazzetti alla sua sinistra, alla sua destra l'altro Direttore Spadoni.

Nelle foto all'inizio abbiamo riportiamo i documenti dell'Anpi come "partigiano" e la tessera della CGIL, il sindacato vicino al partito comunista a cui Lamberto si iscrisse. Qua sotto il riconoscimento pubblico che il sindaco di Umbertide Celestino Sonaglia, nel 1974, diede a Lamberto per il suo essere stato partigiano. 

Nel frattempo Lamberto si era impegnato anima, corpo a dar vita e forza alla sezione dell'Avis umbertidese, donando fin dall'inizio in prima persona, anche direttamente, quel sangue che non aveva voluto versare. Nel 1959, infatti, il dottor Mariano Migliorati si fece promotore di un “Comitato” per costituire un primo nucleo di donatori per l’ospedale di Umbertide, "ospedale" che già con il fascismo era stato declassato ad "infermieria" ma era ben attivo e funzionante con l’aiuto dei “medici condotti”; questo anche dopo il bombardamento, difatti, continuò a funzionare nella sede di Serra Partucci. I componenti del Comitato erano Lamberto Beatini, Raffaele Mancini, Marta Gandin e Aurelio Nocioni. Due maestri e due Presidi. Lamberto era l'unico componente del Comitato che fosse anche donatore, ed ebbe la Tessera n. 1 dell'Avis di Umbertide; donò fino al limite d'età prevista dalla legge. Fu eletto tra i primi 5 soci e anche Presidente. Carica per cui venne rieletto fino al 1986, quando divenne "Segretario".

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Immagine dalla pagina Facebook dell' Avis di Umbertide

Lamberto mantenne sempre una idealità assieme ad una umanità straordinaria, una visione sociale e democratica vissuta e respirata in famiglia. Nella sua scrivania teneva tra le altre cose dei documenti del padre Giovanni, probabilmente avuti dal nonno Costantino, una lettera di Giuseppe Mazzini e il "santino" sempre di Mazzini dove lui, da bambino, aveva scritto sopra il suo nome nel periodo in cui aveva seguito assieme alla famiglia il padre a Cantiano, quando il padre, ex ufficiale nella prima guerra mondiale, svolgeva il ruolo di capostazione. Il nonno Costantino, infatti, era uno dei giovani di fede repubblicana che cercavano di contrastare la monarchia ad Umbertide assieme a Leopoldo Grilli, che era l'animatore del circolo repubblicano "Pensiero ed azione", Torquato Bucci e  Raffaello Scagnetti.

Lamberto e Celestino Sonaglia durante la consegna di una medaglia da "partigiano" nel 1974

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Costantino Beatini

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Probabilmente la lettera non è completa, sembra mancare in basso la parte finale (immaginiamo un foglio composto da sei riquadri); si pensa che queste lettere per la loro stessa esistenza erano pericolose e venivano introdotte ripiegate in più parti e forse cucite all'interno degli abiti. La lettera è del 1868, dopo le più famose organizzazioni come la "Giovane Italia" e la "Giovane Europa" un Mazzini indomito non riconobbe la monarchia sabauda come legittima. Continuò perciò a professare ed ad organizzare associazioni di "fede repubblicana" come , in questo caso "l'Alleanza Repubblicana Universale" in Lugano. Nel testo si può leggere: Scopo della Sezione dell’All(eanza ) Rep(ubblicana) Univ(ersale) in Lugano dovrebbe essere: rendere omaggio al principio che esige l’ordinamento politico degli  uomini di fede repubblicana, dovunque, pochi o molti, si trovino: organizzano molteplici i mezzi d’introduzione sicura di lettere e altro dal Cantone dell’Italia: aiutare colla quota mensile degli affratellati e colle offerte ottenute per una sola volta, la cassa dell’Alleanza: Cercare di affratellarsi gli italiani, appartenenti a qualunque classe e in generale seguino possibilmente le norme contenute nella circolare dell’ottobre 1865. Giuseppe Mazzini. Nov. 1868".

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Antonio Beatini con il fiocco nero dei repubblicani

La lettera passò al padre di Lamberto, Antonio Beatini, repubblicano che portava solitamente il fiocco nero al posto delle cravatte del tempo come era in uso tra i repubblicani. Antonio fu sostenitore dell'entrata in guerra contro l'Impero austriaco nel 1915 e scrisse sul "Il Popolo: organo dei repubblicani umbro-sabini" il 6 febbraio di quell'anno che era necessario andare in guerra contro l'Austria “non per mania guerrafondaia, ma per la tutela dei diritti ed interessi della patria nostra, sempre da essa manomessi ed oltraggiati”. Il giornale portava avanti gli ideali mazziniani, nacque come giornale di partito volto ad aggregare ed informare gli iscritti e simpatizzanti. Fu sospeso per due mesi nel 1915 a causa della chiamata alle armi di molti collaboratori, fu chiuso poi nel 1922 con l'arrivo del fascismo. Anche Antonio partì come ufficiale nonostante i 5 figli. La lettera passò poi a Lamberto che crebbe con diversi ideali ma con la stessa serietà ed idealità. 

Concludiamo con un ultimo aneddoto riportato da Isotta per far capire la sensibilità e il valore che per Lamberto aveva ogni essere vivente: "l’episodio che Lamberto raccontava sorridente con tanta grazia è l’episodio del topino che riuscì ad ammaestrare diventando suo amico. Questo episodio Anna (la figlia), amica degli animali l’aveva descritto in un tema di quarta elementare il cui titolo era: "il babbo racconta", eccone la trascrizione: <<Stavo andando a comprare le caramelle e mentre passavo sul marciapiede, con la cura dell’occhio, sulla strada, vidi un topo morto. Subito, spaventata, tornavo a casa. La c’era il babbo che, vedendomi sconvolta, mi chiese cosa fosse successo. Gli risposi che avevo visto un orrendo topo schiacciato con una frittella sulla strada. Restò un momento zitto poi cominciò raccontare: “sai Anna, quando ero in prigione non c’erano molti divertimenti e così se volevamo giocare a dama le pedine dovevamo costruirle noi. Mettevamo in bocca un pezzo di pane e dopo averlo masticato a lungo facevamo delle palline che mettevamo ad asciugare fuori dalle sbarre. Il giorno seguente al posto delle palline c’erano solamente delle briciole. Subito pensai ad un topo e allora volli provare a farlo tornare. Rimisi le palline sul davanzale per aspettare che fossero asciutte. Il topolino arrivò e un po’ timoroso esitò un poco poi vedendo che facevo l’indifferente si avvicino alle palline e cominciò a rodere. Mi avvicinai a lui, mi guardò con sguardo timoroso. Lo accarezzai dolcemente sulla testina e lui mi montò sul braccio. Passarono alcuni giorni e io e il topolino eravamo già buoni amici. Lui prese l’abitudine, quando ero sdraiato sopra la branda, di montarmi sul petto e raspare sulla mia camicia. Io dovevo sbottonarmi e lui entrava dentro e poi si addormentava. In poco tempo il suo pelo era diventato lungo lungo e lucente, i dentini erano affilati ed era proprio in forma. Quando uscii dalla prigione cercai il topolino ma non lo trovai. L’avrei portato via. Mi dispiacque un po’ ma dopo capì che il topolino doveva andare a casa, anche lui aveva il babbo e la mamma.” Il babbo mi aveva fatto capire che anche un topo poteva essere addomesticato e diventare un compagno dell’uomo.>>.".

Fonti: 

- Archivio famigliare Fam. Beatini-Bottaccioli

- Mario Tosti: "Belli lavori. Informazioni, documenti, testimonianze e immagini su fatti di vita e di morte avvenuti nel Comune di Umbertide durante la seconda guerra mondiale. A cura di Mario Tosti. Comune di Umbertide, 25 aprile 1995.

- Roberto Sciurpa, Il Sangue della Fratta. Storia della sezione Avis di Umbertide, Gesp editrice

http://augustaem.comune.perugia.it/scheda.aspx?ID=12&cod=PORU

- http://www.storiatifernate.it/allegati_prod/01-neutralismo.pdf

- foto: Archivio fam. Beatini-Bottaccioli

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