storia e memoria
L’EPIDEMIA DI "SPAGNOLA" AD UMBERTIDE
E NELL'ALTA VALLE DEL TEVERE
a cura di Fabio Mariotti
Pubblichiamo, su gentile concessione dell’autore, lo storico tifernate Alvaro Tacchini, l’articolo sull’epidemia di spagnola che colpì Umbertide alla fine del 1918, articolo che fa parte di una serie di articoli dedicati alla Valtiberina Umbra e Toscana.
Crediamo per questo che, per capire meglio quello che successe e inserirlo in un contesto storico, sociale e civile più ampio e sostanzialmente omogeneo, sarebbe opportuno leggere anche gli altri articoli che si riferiscono all’intera vallata e dei quali riportiamo i titoli: L’influenza “spagnola”: quando e come dilagò; Ottobre 1918: si tentò di minimizzare; Profilassi e alimentazione popolare; L’igiene pubblica; La “spagnola” a Città di Castello e nella valle del Nestoro; la “spagnola” nel territorio di Sangiustino; Sansepolcro: la “spagnola” tra i prigionieri di Aboca; Pieve Santo Stefano: la riconoscenza verso un medico militare. La “spagnola” tra i militari”.
Alla fine della pagina troverete il link per accedere a tutti gli articoli pubblicati nel sito storiatifernate.it di Alvaro Tacchini che ringraziamo per la sua cortesia e disponibilità.
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di Alvaro Tacchini
La pandemia di Coronavirus del 2020 (Covid-19) richiama la drammatica memoria di quanto avvenne nel 1918-1919, sempre a livello mondiale, per la cosiddetta “influenza spagnola” (H1N1). Gli articoli che seguono ne ricostruiscono la storia nella nostra valle. Si trattò di un evento sconvolgente, che localmente causò la morte di più di mille persone solamente nell’ultimo trimestre del 1918. Quella di allora era una società assai povera, con gravi carenze igieniche e con un modesto livello di assistenza sanitaria, culturalmente e socialmente meno pronta ad affrontare una emergenza così grave. Per di più, una società stremata da quattro anni di guerra.
Attenzione! Nel riproporre questi testi – già pubblicati nel 2008 – non si vuole incupire ancor più lo stato d’animo di una opinione pubblica già preoccupata per quanto sta avvenendo. Anzi! Queste conoscenze storiche ci possono aiutare ad apprezzare maggiormente quanto la nostra società sia evoluta negli ultimi cento anni dai punti di vista della democrazia, delle condizioni sociali (soprattutto in campo alimentare e igienico), dell’assistenza sanitaria, della cultura di base, del tessuto istituzionale e associativo. Una ragione in più per combattere insieme la sfida del Coronavirus, in sintonia con le autorità politiche, amministrative e scientifiche.
I testi completi degli articoli, corredati dalle note, sono nel mio volume “L’Alta Valle del Tevere e la Grande Guerra”.
L’epidemia a Umbertide
Le autorità municipali di Umbertide segnalarono al prefetto la comparsa dell’influenza il 19 settembre. Da allora lo informarono con regolarità sull’andamento dell’epidemia. Lo stesso prefetto del resto aveva dato severe disposizioni per monitorarne in modo attento e metodico la diffusione.
Proprio i bollettini inviati dal comune umbertidese costituiscono una preziosa fonte di informazione. A settembre furono eseguite 8 disinfezioni nelle case di 10 persone morte di malattia infettiva, o “contaggiosa”, come spesso scrivevano nelle loro relazioni i vigili urbani ai quali, insieme allo scopino municipale, l’ufficiale sanitario affidava la mansione. L’area colpita era la campagna a nord di Umbertide, tra Montecastelli – soprattutto, con 5 decessi – , Montemigiano, Romeggio e Verna.
Che la situazione destasse preoccupazione lo conferma la decisione, dalla fine del mese, di far svolgere il trasporto delle salme al cimitero per la via più breve, con funzioni religiose solo nella chiesa di Santa Maria. Ma l’epidemia dilagò improvvisamente a tal punto che fu necessario vietare “l’agglomeramento nella chiesa per le funzioni funebri” e far trasportare le salme direttamente nella cappella mortuaria del cimitero.
In effetti il telegramma inviato al prefetto il 4 ottobre dipingeva un quadro drammatico. Dopo aver indicato in circa 600 il numero dei colpiti dall’inizio dell’epidemia, così aggiornava la situazione: “Denuncie casi ultime 24 ore sono 30 località Montecastelli, 20 Niccone, 30 Rasina, 20 Molino Vitelli, 20 Calzolaro, 15 Ranchi Nestoro, altri 50 casi in zone diverse - Morti nelle ultime 24 ore sono tre dei quali uno prigioniero guerra stato ricoverato ospedale civile - Situazione condotta Montecastelli aggravasi rendendo impossibile solo medico disimpegnare servizio - Pregasi provvedere per altro sanitario provvisorio invio disinfettanti”. Le autorità municipali non nascosero la gravità del momento (“infezione qui gravissima, mortalità elevata”) quando richiesero con urgenza di trasferire una ventina di letti dall’ospedale militare a quello civile, che li aveva ormai esauriti.
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L’impatto della “spagnola” lo sottolineavano le nude cifre. Nei primi quindici giorni di ottobre nel comune di Umbertide decedettero 49 persone, contro le 6 dello stesso periodo nell’anno precedente. Nei 12 bollettini informativi inviati al prefetto dal 5 al 30 ottobre – ma ne mancano alcuni – si legge di 580 nuovi casi di influenza, con 53 decessi. Le 55 disinfezioni effettuate nel corso di quel mese ci danno i nomi di 57 residenti nel comune morti per malattia contagiosa. Benché manchi un censimento ufficiale delle vittime, tali dati dipingono un quadro molto significativo durante il picco dell’epidemia. E le relazioni delle disinfezioni lasciano appena intuire il dramma vissuto da tante famiglie: a Niccone, Silvio Medici perse la moglie e la figlia; Pietro Boldrini la madre e un figlio; a Domenico Montanucci, di Montemigiano, decedettero la moglie, un figlio e un nipote di appena 15 mesi; David Bacuccoli, di Migianella, e Vittorio Gnagnetti, di Umbertide, videro ciascuno morire in pochi giorni due loro figlie.
Le autorità presero ogni possibile precauzione. Il prefetto rimandò a dicembre la commemorazione dei defunti, impose di limitare “alla celebrazione di messe piane” le funzioni religiose di Ognissanti e di ogni altra festa solenne. E, fors’anche per non deprimere il morale della popolazione, stabilì che il suono delle campane per festività o per funerali fosse ridotto “al numero dei rintocchi puramente indispensabili alla voluta segnalazione”.
Le condizioni sanitarie cominciarono a migliorare a novembre. Si verificarono allora 40 decessi complessivi, rispetto ai 17 del novembre 1917. Le relazioni delle disinfezioni permettono di quantificare in almeno 21 i morti certi per “spagnola”. A fine mese il Comune poteva finalmente scrivere al prefetto che l’influenza era “in diminuzione notevole”, inviando per la prima volta un bollettino con la dicitura “decessi nessuno”.
A dicembre il numero giornaliero di nuovi casi scese a 7-8. Morirono in tutto 46 persone, contro le 17 del dicembre dell’anno precedente; almeno 10 decedettero per malattia contagiosa.
Nel frattempo giungevano brutte notizie dalla frazione montana di Preggio che, nelle parole stesse delle autorità municipali, era isolata e “priva di assistenza sanitaria”. L’infezione fu portata a Preggio da una bambina, già contagiata a Umbertide, ospite della famiglia Mavarelli per le vacanze natalizie. Quinto Vignoli scrisse al sindaco: “[…] l’epidemia ha cominciato ad infuriare anche nel nostro paese e dintorni. Nella cappella del cimitero di Preggio vi sono due morti. Uno in quella di S. Bartolomeo de’ Fossi ed uno in quella di Racchiusole che non si possono seppellire perché mancano del certificato di decesso, non essendoci il medico che li redige. Ella comprenderà facilmente quanto ci sia necessario quassù un medico in simili circostanze (siamo pure privi di farmacia, e non avendo viabilità possiamo dirci fuori dal consorzio umano). Finché la salute è stata buona non abbiamo annoiato: ma ora reclamiamo per il nostro sagrosanto diritto. La venuta d’un medico due volte la settimana in questo momento di tanto infuriare epidemico è irrisoria, tanto più che l’arrivo del medico non avveniva prima delle 12 per ripartire alle 14. Poco per il paese, ma nulla per la campagna”.
Su pressante richiesta del sindaco, finalmente fu inviato il medico militare Augusto Massi. Prese servizio il 17 dicembre: da fine novembre a quella data Preggio aveva avuto almeno 17 morti. Massi rassicurò il sindaco sulla natura benigna dell’epidemia in quel luogo, ma lo invitò a tenere chiuse le scuole, perché la malattia – scrisse – “serpeggia ovunque”. Dal suo arrivo al 6 marzo 1919, il medico avrebbe constatato 747 nuovi casi di influenza, che costarono la vita ad almeno 9 persone. Più colpito fu il territorio circostante. Massi si muoveva a cavallo e gli ci volevano anche tre ore per raggiungere le zone più impervie.
Nel resto del comune umbertidese, nonostante una recrudescenza verso la fine dell’anno, dal gennaio 1919 la “spagnola” andò pian piano estinguendosi e la mortalità tornò su livelli normali: in quel mese si ebbero 26 decessi, appena 2 in più dell’anno precedente. Furono 8 (al di fuori di Preggio) quelli dovuti al morbo. Esso avrebbe fatto altre 9 vittime tra febbraio e il 7 giugno 1919, quando la prefettura inviò al sindaco la comunicazione a lungo attesa: “Essendo quasi cessata l’epidemia dell’influenza nella Provincia, la S. V. potrà sospendere l’invio dei bollettini che ad essa si riferiscono”.
L’insieme della documentazione raccolta permette di quantificare in non meno di 142 le persone uccise dalla “spagnola” nel territorio umbertidese dal settembre del 1918.
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Le foto dei documenti sono tratte direttamente dal sito.
Le altre foto sono di Fabio Mariotti dall’Archivio fotografico storico del Comune di Umbertide.
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Cliccando sul link potete entrare direttamente sulla parte del mio sito che racconta la storia della “spagnola” nel nostro territorio.
http://www.storiatifernate.it/pubblicazioni.php?cat=48&subcat=159&group=410