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L’ARTE CERAMICA AD UMBERTIDE

 

a cura di Fabio Mariotti

 

 

 

 

 

 

I vasari di Fratta dal 1400 al 1800

 

La lavorazione della ceramica nella nostra città, che allora si chiamava Fratta, risale al 1400 come riportato da Filippo Natali nel suo saggio “Notizie e memorie sulle figuline e sull’arte del vasaro a FRATTA (Umbertide)” pubblicato dalla Tipografia Tiberina nel 1890. “Notizie che lasciarono manoscritte il Magi, il Cristiani e il Pellicciari, storici paesani che vissero fra la prima metà del secolo XVII e il XVIII, e che si conservano nella Comunale di Perugia. Ma ciò che meglio di ogni altra cosa attesta dell’esistenza di fabbriche ceramiche a Fratta, sono le opere stesse, come si rileva dagli oggetti che sparsi si trovano per i vari musei e collezioni private, non solo d’Italia, ma d’Europa altresì, fabbricati in questo luogo”. Il Natali riporta quanto scritto dal Magi sulla cosiddetta “Guerra del Granduca di Toscana” e l’assedio di Fratta nel 1643: “L’esercito fiorentino dopo haver dato libero passo e

cammino alla preda e bagaglio, fece alto, parte al di là del Nicone,

parte di qua dal detto fiume, et aspettava il declivio delle acque (sic)

a fine di passare il Tevere et assalire la Terra dalla parte più debole;

anche il Pallavicino per havere la sua gente più unita, e levare ai

Fiorentini ogni vantaggio fece dar fuoco a tutte le case e botteghe

del borgo e piazza del mercato, dove l’esercizio de’ Vasari in quel

tempo, con grand’utile del pubblico e del privato fioriva. Il fuoco

acceso nella chiesa di S. Erasmo, fu segretamente da alcuni pietosi

soldati estinto. Il resto rimase del tutto incenerito. Fu il tutto eseguito

con tanta celerità, che i padroni delle botteghe e delle case, non ebbero

tempo di salvare cosa alcuna”.

“Le fornaci e le botteghe dei vasari di Fratta, arse e distrutte nel 1643,

sorsero più a nord del Paese, né delle prime si può aver traccia alcuna,

poiché sopra quelle macerie vennero edificate le case che oggi

costituiscono il largo di via Cavour (l’attuale zona di piazza Marconi, N.d.r.)

al più si potrebbe trovare nel campo Mavarelli in prossimità della strada

limitata dal muro. Le nuove fornaci si elevarono presso il molino, ove

tutt’ora se ne vedono tre, quelle del Martinelli, la cui famiglia per una serie

di generazioni non interrotta, ha esercitato ed esercita l’arte del vasaro;

e non erro dicendo che i lavori a graffio che si vedono in alcune collezioni,

dei secoli XVII e XVIII siano usciti dalla fabbrica del Martinelli…..”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Questa tradizione secolare è stata ripresa a partire dalla prima metà del XX secolo da iniziative imprenditoriali coraggiose e innovative che hanno saputo, pur tra mille difficoltà, imporsi a livello nazionale, a partire da quella delle Ceramiche Rometti.

La riscoperta di questa attività imprenditoriale artistica e di grande qualità si deve, a mio parere, alla grande mostra che l’amministrazione comunale di Umbertide dedicò nel 1986, nello nuovo spazio espositivo “Centro per l’arte contemporanea” da poco realizzato presso la restaurata Rocca, alle opere realizzate da Cagli e Leoncillo nel periodo in cui hanno operato all’interno della manifattura umbertidese. Non a caso la mostra aveva questo titolo: “Cagli e Leoncillo alle Ceramiche Rometti di Umbertide”. Inaugurata il 13 settembre, si concluse il 30 novembre 1986 con un grande successo di pubblico, testimoniato dalla presenza di oltre duemila persone provenienti da tutta Italia. Avvio migliore non ci poteva essere per lo spazio espositivo della Rocca che ha ospitato, nei 35 anni di attività, le opere dei migliori interpreti italiani dell’arte contemporanea e che continua a farlo anche oggi.

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Dopo la Rometti, da una sua costola, nel 1947 nascono le Ceramiche Pucci per iniziativa dell’Ing. Domenico Pucci la cui attività cessò nel 1962, dopo che nel 1958 aveva cambiato la propria ragione sociale in Maioliche Pucci. Nonostante il breve lasso di tempo in cui hanno operato le Ceramiche Pucci hanno fatto vedere “l’espressione significativa di un percorso artistico che ha lasciato un’impronta indelebile in ogni suo esemplare”, come affermato da Angelica Pucci alla fine del suo saggio, dedicato alla storia di questa manifattura, pubblicato nel catalogo della mostra svoltasi alla Rocca nel 2006.

 

 

 

 

 


CERAMICHE ROMETTI - Storia di una manifattura

 

di Marinella Caputo
 

(Dal Catalogo della mostra “Le Ceramiche Rometti” - Rocca di Umbertide “Centro per l’arte contemporanea” – giugno/novembre 2005)

 

È possibile affermare che il marchio Rometti sia entrato nella storia della ceramica italiana del Novecento, grazie a una felice combinazione di eventi.

Il clima culturale degli anni venti, di sperimentazione entusiastica, ma anche di rigore funzionale e slancio tecnologico, deve avere senz'altro favorito la nascita di un progetto imprenditoriale che fu anche avventura creativa, con difficoltà e periodi bui, ma anche indubitabili successi.

Nel fervore e nell'inventiva che caratterizzavano in quegli anni le arti applicate, la ceramica aveva un ruolo centrale.

Già nel XIX secolo la produzione ceramica risultava incrementata, grazie all'influenza del movimento Arts and Grafts che riscopriva e valorizzava l'artigianato artistico, insieme alla perizia e ai segreti delle tradizioni antiche.

Nel XX secolo una nuova configurazione sociale, in cui i ceti medi risultano emergenti, è alla base del grande sviluppo della produzione di oggetti decorativi e funzionali destinati ad un'ampia diffusione.

Sono molti i centri italiani in cui si iniziano nuove attività, basti soltanto pensare che la Richard Ginori nasce nel 1923, sotto la direzione artistica di Giò Ponti, e la Società Ceramica Italiana di Laveno nello stesso anno inizia ad avvalersi della collaborazione di Guido Andlovitz. La ricerca versatile dei due designer porterà all'affermazione di una tendenza che presto si diffonderà molto capillarmente, stimolando il sorgere di un gusto che veniva senz'altro avvertito come moderno.

A livello locale è il caso di citare La Salamandra di Perugia (fondata nel 1923) che inaugura una linea decorativa moderna nell'ambito della ceramica umbra.

L'Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi del 1925, divenuta così famosa come punto di partenza di un nuovo stile, detto appunto déco, di fatto sancisce una tendenza già in atto, conferendole una visibilità perentoria.

Il design applicato all'industria nel terzo decennio del XX secolo ha, nonostante i suoi aspetti inevitabilmente pragmatici, un sapore di utopia, nutrita dall'esperienza del Bauhaus, o ispirata ai vari movimenti di matrice costruttivista presenti in Europa.

In ambito italiano la fonte teorica va forse rintracciata nel manifesto della Ricostruzione Futurista dell'Universo, pubblicato nel 1915, con le firme di Balla e Depero. L'idea di "ricostruire l'universo, rallegrandolo", doveva apparire una prospettiva elettrizzante per molti, in quegli anni ruggenti, di ruggiti eroici o sinistri.

L'esigenza di un nuovo gusto, l'urgenza di uno stile di vita moderno, venivano reclamate non più da un'élite privilegiata e blasée, ma penetravano molto a fondo nella società, divenendo, come si dice, un fenomeno di massa.

Era questo il clima infervorato, sul versante creativo e produttivo, in cui videro la luce le Ceramiche Rometti di Umbertide.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nasce “Ars Umbra”, primo embrione delle Ceramiche Rometti

Settimio Rometti fonda la società di fatto Ars Umbra nell'ottobre del 1927 insieme al nipote Aspromonte Rometti. Entrambi risultano soci proprietari della ditta, registrata presso 1a Camera di Commercio e Industria di Foligno, con un capitale di L. 40.000 (1).

Si tratta dell'inizio ufficiale delle Ceramiche Artistiche Rometti, anche se già da qualche anno, Settimio Rometti, che era un uomo adulto ben inserito nella vita pubblica, aveva dimostrato interesse verso la produzione ceramica. I suoi primi contatti avvengono alla Fornace Pasquali (già Pasquali&Cerrini) di Umbertide. La ditta nel 1920 aveva fondato una Scuola d’Arte applicata alle Industrie, dove Rometti svolgeva attività di insegnante tecnico. È da presumere, quindi, che già disponesse di un'esperienza significativa. La scuola rappresentava una realtà produttiva per maioliche artistiche, mattonelle smaltate e ceramiche. I lavori venivano marcati La Frattigiana-Umbertide, e si presume che il contributo di Rometti in questo tipo di attività sia stato determinante. La Frattigiana diviene una fabbrica indipendente, all'interno della Fornace Pasquali (di proprietà Roberto Cerrini) e la collaborazione di Settimio Rometti, in un ruolo che potremmo definire di direzione artistica, costituisce la premessa indispensabile per l'inizio della sua attività in proprio.

Ben presto, la produzione della Fornace Pasquali e conseguentemente della Frattigiana, attraversa una crisi che culminerà nel fallimento del 1923. Settimio Rometti, da questa data fino al 1927, avrà senz'altro progettato una sua manifattura, approdando alla creazione di Ars Umbra.

È possibile che in quegli anni avesse portato avanti un tipo di produzione ridotta, con mezzi provvisori, occupandosi di problemi di ordine pratico, ma anche aggiornandosi da un punto di vista estetico e formale.

La sua formazione nel campo del disegno e dell'arte applicata va fatta risalire alla Scuola Tecnica Comunale, diretta, dal 1913 al 1926, da Decio Scuppa. Sappiamo che nel 1910 Settimio e suo fratello Barbato risultano tra gli allievi migliori di Scuppa che in quell'anno figura come insegnante di disegno.

L'abilità grafica di Settimio è confermata da disegni e tele realizzate in età più avanzata, in quanto manca una documentazione dei suoi anni giovanili.

Ad ogni modo, il suo gusto in ambito decorativo si sarà senz'altro affinato nei primi anni venti, orientandosi verso tendenze di stampo secessionista che ancora dimostravano una notevole vitalità a livello europeo.

L'esperienza della secessione romana, alla fine del secondo decennio del XX secolo, aveva creato un'apertura benefica verso il clima delle avanguardie, contribuendo a promuovere un nuovo percorso creativo, più meditato, e senz'altro moderato, rispetto alle proposte, radicali e traumatiche, del futurismo.

Nel suo progetto imprenditoriale, Settimio accoglie il contributo dei giovani, nelle figure dei suoi nipoti, Aspromonte, detto Riego, figlio di suo fratello Paolo e Dante Baldelli, figlio della sorella Stamura. La sua intenzione di dar vita a una proposta creativa nuova e di qualità si delinea con chiarezza sin dagli esordi. Dal momento che Umbertide non disponeva di una tradizione ceramica prestigiosa, come Deruta, Gubbio o Gualdo Tadino, cerca i suoi collaboratori altrove. Da Gubbio proviene il tornitore Crescentino Monarchi, da Gualdo Tadino giungono i fratelli Angeli, uno tornitore, l'altro pittore. Da Roma, dove si era recato per frequentare i corsi dell'Accademia di Belle Arti, arriva, nel 1928, il nipote Dante Baldelli che inizierà in questo momento la sua collaborazione proficua con le Ceramiche Rometti, durata un intero decennio. Presto lo raggiungeranno gli amici Corrado Cagli e Mario Di Giacomo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arrivano ad Umbertide Corrado Cagli e Mario Di Giacomo

È questo il periodo più sperimentale e innovativo della Rometti, una vera età dell'oro, forse evocata in molti dei soggetti che compaiono sui vasi di quegli anni. Si tratta di figure o scene allegoriche improntate a una visione edenica, espressa con ottimismo e purezza giovanili. C'è, ovviamente, un'intenzione didascalica che sembra sottrarsi, però, allo slancio celebrativo così diffuso all'epoca. Va comunque attestato che la maggior parte delle forme, del repertorio decorativo e delle figurazioni, scaturiti nei primi anni di vita della Rometti, durerà a lungo, costituendo il carattere distintivo della manifattura.

È un'epoca sperimentale ed estremamente produttiva sul versante creativo.

Le sculture prodotte da Cagli e Di Giacomo tra il 1928 e il 1930 rappresentano risultati artistici di indiscutibile valore e si configurano come esperienze di scultura esclusive. Cagli, infatti, svilupperà successivamente la sua ricerca soprattutto nell'ambito della pittura e Di Giacomo morirà suicida nel 1934.

Proprio in quel momento compare il "nero fratta" (NF), come viene denominato nei cataloghi commerciali della Rometti. A volte la sigla NF si ritrova anche nel marchio. L'ottenimento di questo smalto ha assunto toni leggendari che rimandano a una circostanza fortuita.

Secondo le testimonianze orali, raccolte da Codovini, la composizione derivò da un errore nella formula del colore. Il risultato del dosaggio sbagliato venne sistemato in una botte di due quintali e si scoprì casualmente che produceva un nero metallico di notevole effetto. Lo smalto deve la sua qualità riverberante alla presenza di cristallina piombifera, manganese e ramina, con prevalenza di cristallina. Tale novità tecnica, messa a punto tra il 1927 e il 1928, deve senz'altro aver incrementato le ricerche plastiche degli artisti, trattandosi di un colore particolarmente adatto alla scultura. Cagli realizzò alcune delle opere più significative dei suoi esordi in NF, come Santone, Icaro, Eolo. Di Giacomo diede vita alle sue figurine flessuose come arabeschi, sfruttando l'eleganza evocativa del nero e la superficie, resa mobile dai riflessi cangianti.

Il clima euforico che si sviluppò nei primi anni della Rometti si nutriva di molte componenti diverse. Gli echi tardi della secessione vengono accolti soprattutto da Settimio Rometti che nel suo piatto con la Madonna del grano (probabilmente del 1927) cristallizza l'elemento organico in motivi stilizzati, organizzati in una fitta tessitura bidimensionale. Anche il vasellame o i servizi appartenenti agli albori della manifattura presentano decorazioni floreali, risolte in cascate fluide di colori emulsionati.

Su un livello affine, di ispirazione simbolista, si collocano la Salomè e altre sculture analoghe di Di Giacomo, mentre il suo Battitore appartiene a una tradizione novecentista, per la sintesi dei volumi e futurista per il dinamismo del soggetto. L’apporto fondamentale di Cagli con le sue sculture in NF, i piatti e i vasi, ha una connotazione piuttosto eclettica che verrà analizzata più estesamente nel corso del testo. Per il momento è sufficiente affermare che il giovane artista guarda in varie direzioni, subisce il fascino di un futurismo divenuto pragmatico e applicativo, guarda in direzione di Valori Plastici (vedi rispettivamente Icaro e Santone) e contemporaneamente si apre ad esperienze internazionali. Come non pensare, guardando il piatto con figura di Mietitrice, una baccante in corsa con spiga e falce, al Picasso del celebre Due donne in corsa sulla spiaggia (Parigi, Museo Picasso) del 1922?

Per quanto riguarda Dante Baldelli, che presto assunse la direzione tecnica e artistica insieme a Settimio e Aspromonte (3), il suo orientamento stilistico va senz'altro in direzione della grafica e del design déco e futurista e molti dei suoi lavori trovano confronti nelle ceramiche di Andlovitz, di Ivos Pacetti (Ilsa e Spica, Albisola), di G.B. De Salvo (Casa dell'Arte, Albisola Capo), di Tullio d'Albisola nella produzione della Faci di Civita Castellana o della Galvani di Pordenone.

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Si tratta di un artista di notevoli capacità grafiche, aggiornato sugli orientamenti più innovativi del design italiano e internazionale.

La collaborazione di Cagli e Baldelli. nel biennio 1938-1939 fu senz’altro molto stretta tanto che a volte risulta difficile un'attribuzione individuale. Entrambi condividevano l'interesse per forme vascolari semplici, enfatizzate da motivi geometrici. tra cui predominano i cerchi concentrici, con figure lineari graffite e dipinte, nelle quali la mano del singolo artista risulta più evidente.

Durante il suo soggiorno umbertidese, Cagli torna spesso a Roma. Alla fine del 1929 partecipa a una mostra presso la Società Amatori e Cultori di Belle Arti insieme a Balla, Dottori, Fillia, Prampolini e altri futuristi. L’opera che espone, Il Vasaio, sembra una chiara allusione alla sua attività del momento. Mascelloni attribuisce le sculture in NF al periodo che precede la mostra del 1929, mentre la maggior parte dei vasi andrebbe ascritta al secondo soggiorno a Umbertide (1929-1930). Si tratta di una datazione problematica, in cui l’analisi dei marchi o la definizione stilistica raramente rappresentano un aiuto. La testa di Icaro, comunque, con il suo carattere fortemente aerodinamico, va forse collegata più direttamente di altre opere, all'esperienza futurista, e potrebbe venire datata appena dopo la mostra, forse all'inizio del 1930.

Cagli lascia definitivamente la Rometti alla fine del 1930 per stabilirsi a Roma. Prima di partire esegue le pitture parietali di casa Mavarelli-Reggiani, con scene agricole, comunemente identificate con il titolo Battaglia del grano, nome del progetto messo in atto dal regime fascista nel 1925 per incrementare la produzione di grano.

Il linguaggio di questi dipinti trova confronti stringenti in molti dei motivi presenti sulle ceramiche.

A questo punto Baldelli e Aspromonte (Settimio rimane più concentrato sul settore amministrativo) divengono le figure dominanti della Rometti, ma l'eredità di Cagli rimane, in modo inequivocabile, almeno per tutta la prima metà degli anni trenta.

 

La Rometti si lancia sul mercato nazionale

Dal 1931 ha inizio da parte dell'azienda una maggiore presenza sul mercato e una più intensa campagna pubblicitaria (4). Giungono anche i primi riconoscimenti, come le due medaglie d'oro ottenute in quell'anno, alla Fiera di Nizza e alla Fiera del Littoriale di Bologna. Anche la partecipazione alla Fiera dell'Artigianato di Firenze fu apprezzata dalla stampa, e così quella alla Mostra Permanente dell’Artigianato Umbro di Perugia.

L’anno successivo è connotato dalla rinnovata presenza alla Fiera dell'Artigianato a Firenze e alla Fiera del Levante di Bari. Proprio in relazione a quest’ultima, è stato ritrovato un buono di vendita e di uscita con l'intestazione Ceramiche 'Rometti Fonda" Ars Umbra Umbertide (Umbria). Tra i ritagli della tipografia Barbagianni di Umbertide poi, sono state rinvenute delle etichette da imballaggio con la dicitura Icafa Industria "Ceramica Argento" Fonda Amedeo. Si tratta di una collaborazione commerciale, in vista della creazione di una società che non vide la luce a causa della morte del Fonda in un incidente, avvenuto proprio durante il viaggio verso Umbertide per stipulare la società.

II 1932 è anche l'anno della visita di Mussolini alla Rometti. A questa data la fabbrica è in piena efficienza. Vi lavorano quindici operai, con un salario giornaliero di L. 5-6 e sei o sette donne con un salario di L. 2-2.50. È interessante considerare che la testa Santone, l'oggetto più caro in vendita, costava L. 600 (Catalogo Rometti 1931-1933).

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Nell'ottobre del 1932, Gerardo Dottori scrive un articolo sull"'Impero", in cui parla del successo di alcuni vasi con soggetti ispirati al fascismo e afferma: "Leggendo la notizia sui giornali e vedendo le fotografie delle ceramiche Rometti, ci siamo meravigliati di non vedere il nome di Corrado Cagli che sapevamo ideatore, disegnatore e spesso esecutore di queste ceramiche". Si tratta di una testimonianza importante che ascrive a Cagli vasi e piatti con soggetti come La Marcia su Roma, I Ritardatari, L’Ascesa, peraltro attribuibili all'artista su base stilistica e, in alcuni casi, firmati. Abbiamo così un'ulteriore conferma della durata delle creazioni del biennio 1928-1930.

Gli anni a cavallo tra il terzo e il quarto decennio del XX secolo, pur con la loro verve creativa, corrispondono, in Europa e negli Stati Uniti, a un periodo di profonda crisi economica, in cui le esportazioni subiscono un decremento significativo e gli oggetti di lusso risultano sempre più esclusivi e inaccessibili a un vasto numero di consumatori, al contrario di quanto era accaduto nel decennio precedente.

Anche le Ceramiche Rometti che si erano attestate come esempio di un design originale e poetico, subiscono gli effetti della crisi economica e Settimio, decano dell'azienda, cerca di correre al riparo.

Si è già parlato della ricerca di partnership con la Ditta Fonda di Pola, un tentativo di immettere nuovi capitali nell'impresa. I dati porterebbero ad affermare che tutto avvenne nel 1932, piuttosto che nel 1934, perché i documenti che menzionano la Ditta Amedeo Fonda sono del 1932, ma è possibile che le trattative fossero andate avanti fino al 1934, anno della morte improvvisa di Amedeo Fonda secondo le testimonianze. Stando al racconto di Rolando Fiorucci, la ditta Fonda forniva il materiale per una linea di tazzine con alla base un anello in argento, troppo costosa per affermarsi in un periodo di depressione economica. Ad ogni modo, Settimio fu molto turbato dall'avvenimento, vedendo svanire la possibilità di salvare la Rometti.

Sempre tra i ritagli degli stampati tipografici, è emerso un Programma per la costituenda Società Anonima "Ceramiche Rometti" Umbertide, del 1933. A quella data quindi la Società Anonima era in fase di costituzione e si continuava a usare 1’intestazione Ceramiche Rometti Ars Umbra che compare anche nei marchi dell'epoca.

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A proposito dei marchi, è giunto il momento di spendere qualche parola su una questione piuttosto delicata. Dal 1927 al 1935 si usano con molta disinvoltura sia "Ceramiche Rometti" che “Ars Umbra" (composto in una soluzione grafica triangolare) a volte accompagnate da "Umbertide" o da "Made in Italy". Nel celebre biennio 1928-1930 compare a volte un segno grafico triangolare composto di tre linee con ai vertici le lettere RCB che fanno senz'altro pensare a Rometti, Cagli, Baldelli. Tra il 1933 e il 1935 troviamo a volte la scritta SACRU della Società Anonima Ceramiche Rometti Umbertide. Può risultare interessante, a questo proposito, citare due articoli sulla V Triennale di Milano, entrambi del 1933, uno sulla “Rivista Illustrata del Popolo d'Italia", l'altro su "Lidel. Nel primo si parla di Sacru, nel secondo di Ceramiche Rometti. È possibile, quindi, che il marchio SACRU comparisse sporadicamente anche prima di SACU, forse per iniziativa di Settimio che poteva averlo proposto ai soci della manifattura che prenderà quel nome omettendo la R di Rometti.

La varietà nell'intestazione dei marchi è stata spiegata da alcuni ex operai della ditta, i quali sostengono che i principianti erano tenuti a esercitarsi con le firme prima di passare a lavori più impegnativi. Si può ipotizzare che esistessero dei modelli di firme che i più inesperti imitavano, scegliendo tra le varie intestazioni. È un'immagine che conferisce un sapore di vissuto al tipico corsivo Rometti.

Tornando alle vicende della manifattura, il 1934 fu l'anno della costituzione della Società Anonima Ceramiche Umbertide, formata da venticinque soci del luogo, con azioni di L. 50 l'una, (in numero da 2 a 6).

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Nell'aprile del 1935 viene registrato presso il Regio Tribunale Civile di Perugia il fallimento della società di fatto Ceramiche Rometti.

Né Settimio, né Aspromonte risultavano tra i soci fondatori della Sacu e questo si collega all'assenza del nome Rometti nella nuova intestazione della ditta. Si sa da testimonianze orali che Settimio non prese affatto bene la decisione e lasciò la sua città per qualche tempo, recandosi a Rimini, in una fabbrica di ceramica locale. Alcuni mesi dopo lavorava come tecnico presso La Salamandra di Perugia e, secondo la testimonianza orale di Rolando Fiorucci, successivamente andò in Francia, a Nizza, per lavorare nell'impresa edile di suo fratello Clotide. Il Fiorucci ricorda che Settimio era solito dire: "sto mettendo da parte lira su lira, per poter tornare alla Rometti come proprietario e non come operaio".

E vi ritornò, richiamato dai soci della Sacu che avvertivano un peggioramento negli affari dopo la partenza di Settimio e dei suoi nipoti Riego (o Smucchia) e Dante Baldelli, entrambi fuori da Umbertide, Riego a Milano e Baldelli a Città di Castello.

Nel marzo del 1937 viene comunicato al Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa il cambiamento della denominazione sociale in Sacru (Società Anonima Ceramiche Rometti Umbertide).

La produzione di questi anni prevede una ricerca sulle forme e sulle combinazioni cromatiche degli smalti. Sagome essenziali, decorazioni geometriche, i soggetti risultano sempre più stilizzati. Lo smalto nero viene associato al rosso corallo e nelle statuine policrome, sintetiche e fluide, la combinazione dei colori risulta piuttosto vivace.

Gli anni della guerra segnarono un periodo di netta flessione e, sembra, per circa un anno, di interruzione, nella produzione della Rometti. Nel 1942 Settimio decide di uscire dalla Sacru e costituisce la ditta Rometti Settimio, Fabbricazione Ceramiche Artistiche.

Nella Sacru, intanto, già da qualche tempo Domenico Pucci era divenuto socio di maggioranza e nel 1943 trasforma la ditta da Società Anonima in Società a Responsabilità Limitata, continuando a usare il marchio Ceramiche Rometti.

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Dal 1942 al 1947 ci sono due ditte Rometti

Ci troviamo di fronte a due ditte Rometti, una situata in via Spalato (oggi via Spoletini – N.d.r.), gestita da Domenico Pucci, l'altra in via Garibaldi, gestita da Settimio Rometti. La produzione è piuttosto simile, ma la Rometti di Settimio dà più spazio a piccole sculture, rilievi, vasi plastici, mentre quella di Pucci è più concentrata su servizi, scatole e piccoli oggetti d'uso.

Settimio Rometti, nella nuova sede che è la stessa delle attuali Ceramiche Rometti (prima del trasferimento nel nuovo stabilimento a metà rettilineo – N.d.r.), può finalmente dirigere da solo la nuova ditta. I nipoti hanno preso strade diverse, Dante Baldelli ha una propria manifattura ceramica a Città di Castello e Riego lavora a Milano, ottenendo un certo successo come vetrinista. Accanto alla fabbrica c'era (e c'è ancora in parte) una pineta, dove Settimio conduceva gli operai per fare esercizi ginnici prima di iniziare il lavoro. Nelle adiacenze, poi, erano stanziati stagionalmente degli stalloni che ispirarono il logo Rometti con il cavallo rampante che si trova a partire dal 1942. Ci sono anche sculture del cavallo Rometti realizzate in nero fratta - che riemergeva dopo i primi anni trenta - in grigio sfumato o in rosso.

La sovrapposizione delle due ditte durò cinque anni, fino alla costituzione della Ditta Pucci nel 1947.

L’anno dopo anche la ditta Rometti cambiò la propria denominazione da Rometti Settimio in Ceramiche Rometti di Rometti Settimio e nel 1952 si trasformò in Società a Responsabilità Limitata.

Una serie di bozzetti per le Quattro Stagioni e la realizzazione su scala maggiore della Primavera alla fine degli anni Quaranta, ci danno un'idea dell'orientamento di Settimio, verso un gusto acceso e popolare, forse a evocare freschezza e vitalità, dopo un periodo buio di dittatura e di guerra.

La realizzazione negli anni cinquanta di oggetti funzionali o decorativi, come servizi da liquori e da fumo, scatole in forma di casa, cestini, candelabri, vasi con elementi a rilievo, formelle e soprammobili segue le tendenze dell'epoca di una stilizzazione pacata e un gusto pittoresco, a volte naif. La ditta in questa fase incrementa le esportazioni e partecipa a esposizioni e fiere, come quella di Milano, traendo vantaggio dal clima di rinascita economica, diffuso a livello internazionale.

Anche la Ditta Pucci, orientata verso una produzione che privilegia servizi da thè o caffè e altri oggetti da tavola, vive una fase di stabilità economica che dura per tutti gli anni cinquanta. La Società Ceramiche Pucci viene liquidata nel 1960.

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A Settimo Rometti subentra Pietro Finocchi

Settimio Rometti si ritira dalla scena due anni dopo, lasciando l'azienda, tuttora esistente, al socio Pietro Finocchi che aveva seguito le vicende della ditta sin dal 1934 ed era entrato a far parte della società - dal 1959 Società in Nome Collettivo - insieme a Manlio Banelli (scomparso proprio nel 1962).

Possiamo fissare, quindi, agli albori degli anni sessanta l'epilogo del periodo storico della manifattura Rometti, un progetto dirompente che tendeva a formare il gusto, piuttosto che a seguirlo, ma anche un esempio affascinante di micro-storia che coinvolge i1 piccolo centro di Umbertide in una grande esperienza creativa.

 

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Negli anni sessanta è finito il periodo storico delle Ceramiche Rometti che comunque hanno continuato la loro attività orientandosi verso una produzione più commerciale e meno artistica. A Pietro Finocchi è subentrato Dino Finocchi che ha portato avanti l’attività con grande impegno attraversando anche fasi difficili legate alla crisi del mercato di riferimento.

Con l’arrivo di Massimo Monini, mecenate e imprenditore dell’arte, e Jean-Christophe Clair, poliedrico e visionario direttore artistico, la Rometti inizia nel 2012 una nuova e prospera fase, tuttora in corso. L’abilità straordinaria dei due manager-artisti sta nel trovare un perfetto equilibrio fra una visione contemporanea e la valorizzazione dell’heritage Rometti. La Manifattura vanta collaborazioni prestigiose con brand e artisti che hanno scelto la sua unicità per produrre pezzi e collezioni esclusive. B&B, Roche Bobois, Cartier, Borbonese, Fresh e molti altri grandi marchi, nomi del design internazionale come Ambrogio Pozzi, Liliane Lijn, Sergio Fiorentino, Chantal Thomass, Studio MAMO, Christian Tortu, Ugo La Pietra e Kenzo Takada: una costellazione che plasma la storia passata e presente dell’iconico marchio Rometti, alimentando la corsa al collezionismo di pezzi che hanno impreziosito quasi un secolo d’arte.

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La Galleria delle Ceramiche Rometti
Nel 2011 è stata inaugurata alla "Fabbrica moderna", in piazza C. Marx, la galleria d'arte permanente di oggetti delle Ceramiche Rometti, la collezione delle opere realizzate dagli artisti che hanno operato nella prestigiosa manifattura umbertidese in ormai quasi 100 anni di storia. Corrado Cagli è stato uno dei più importanti artisti italiani del Novecento e agli inizi della sua carriera lavorò costantemente alle Ceramiche Rometti. L'Archivio Cagli ha dato quindi un importante contributo per la realizzazione dello spazio espositivo. La collezione è composta da circa 200 opere recuperate dall'attuale proprietario in oltre 40 anni presso antiquari, mercatini e privati che permettono di ripercorrere la storia dell'azienda ma anche la storia di Umbertide che con tale manifattura è riconosciuta a livello internazionale. L'apertura di questo spazio espositivo, oltre che il doveroso riconoscimento ai tanti umbertidesi che hanno operato nell'azienda in quasi un secolo di storia, costituisce anche una nuova opportunità per i tanti appassionati d'arte e turisti che visiteranno Umbertide. Si possono ammirare oggetti realizzati con il famoso ed unico "Nero Fratta" (colore metallico con riflessi cangianti) oppure con incisioni su "bianchetto", altra tecnica innovativa della Rometti già dagli anni ‘30 ed infine decorazioni che segnarono una fase rivoluzionaria per la tradizione ceramica italiana.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il Premio Rometti

Per rilanciare la propria produzione artistica, riagganciandosi alla tradizione storica, le Ceramiche Rometti hanno lanciato nel 2013 il “Premio Rometti”, uno speciale riconoscimento che intende premiare i progetti e gli artisti che offrono un contributo originale all’arte della ceramica. Destinato agli studenti iscritti alle Accademie e Istituti d’arte e di design di tutto il mondo che sposano l’iniziativa, il Premio Rometti regala ai finalisti uno stage in manifattura dove realizzeranno concretamente il loro progetto e un premio in denaro.

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Fonti:

- “Le Ceramiche Rometti” – Ed. Skira, 2005 – Catalogo della Mostra alla Rocca

dal 25 giugno al 6 novembre 2005;

- “Cagli e Leoncillo alle Ceramiche Rometti di Umbertide” – Ed. Mazzotta,

1986 - Catalogo della Mostra alla Rocca dal 13 settembre al 30 novembre 1986;

- “Amabili presenze – le Ceramiche Rometti dall’Art Déco al Design 1927 –

2012” - Catalogo della Mostra a Roma dal 3 ottobre al 3 febbraio 2013.

 

Le foto sono state tratte dai cataloghi.

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Ceramiche Rometti - Storia di una manifattura
I vasari di Fratta dal 1400 al 1800
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CERAMICHE PUCCI – La storia
 

di Angelica Pucci
 

(Dal Catalogo della mostra “Le Ceramiche Pucci” - Rocca di Umbertide “Centro per l’arte contemporanea” – giugno/ottobre 2006)

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1947, nascono le Ceramiche Pucci Umbertide

È il 1 maggio del 1947 quando ufficialmente nascono le Ceramiche Pucci Umbertide: "[...] in riconoscimento dell'opera fattiva e competente svolta dall'Amministratore unico Dott. Ing. Domenico Pucci nei dieci anni trascorsi da quando aveva assunto l'amministrazione della società [...]"-, la SACRU (Società Anonima Ceramiche Rometti Umbertide) ritiene opportuno procedere alla modifica della ragione sociale in "Ceramiche Pucci Umbertide", società a responsabilità limitata avente per oggetto la produzione e il commercio di ceramiche artistiche di uso familiare e industriale.

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La presenza di Domenico Pucci nella manifattura risale. dunque, molto indietro nel tempo: già azionista delle Ceramiche Rometti Umbertide, consigliere delegato e poi presidente del consiglio di amministrazione della società dal dicembre del 1936, a partire dal 28 marzo 1943 diventa socio di maggioranza e amministratore unico e senza collegio sindacale della ditta Ceramiche Rometti Umbertide, che proprio in quella data si trasforma da Società Anonima a Società a Responsabilità limitata. Di fatto è dunque lui che dirige in prima persona la nuova società, anche se questa conserverà ancora il marchio "Ceramiche Rometti Umbertide" fino al 1 maggio 1947.

Con una perfetta continuità dirigenziale, di maestranze, di impianti e di prodotto, il marchio Ceramiche Rometti cede quindi il posto al marchio Ceramiche Pucci in pieno dopoguerra. Nella riorganizzazione postbellica, sebbene si fosse molto più attenti alle ragioni del mercato, non si elusero i principi a sfondo sociale che da sempre avevano caratterizzato il profilo dell'azienda, accompagnandone le trasformazioni e testimoniando - con la presenza fra gli azionisti di cittadini di ogni estrazione sociale e di ogni potere economico - come la fabbrica di ceramiche artistiche fosse sentita da Umbertide non solo come una forza economica, ma soprattutto come l'espressione di una comunità paesana orgogliosa di potere vantare un prodotto di qualità, frutto dell'abilità di maestranze competenti e specializzate nei vari settori della filiera.

La dirigenza non solo conservava questa priorità, ma operava affinché le finalità sociali potessero essere soddisfatte nel migliore dei modi, consentendo l'espansione dell'attività, che pure in mezzo alle difficoltà vissute dall'artigianato in genere, vide raggiungere nel 1955 il numero di ben cinquantadue dipendenti.

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Domenico Pucci non era "artista", ma "imprenditore" e in quanto tale aveva da tempo portato la sua capacità manageriale al servizio dell'attività con una lungimiranza notevole per l'epoca.

Le doti caratteriali, la propensione a guardare sempre in avanti con ottimismo anche nei momenti di difficoltà e, soprattutto, l'esperienza maturata attraverso i contatti personali con l'ambiente milanese, ricettivo alle innovazioni e dinamico nei settori più disparati dell'economia, avevano da sempre sollecitato una grande attenzione verso la filiera di produzione e la diversificazione del prodotto con l'intento di commercializzarlo non solo sul mercato italiano, allora in forte crisi, ma anche verso quei mercati esteri che, come quello americano, mostravano interessanti segni di vitalità.

La marginalità economica della regione umbra e del paese di Umbertide non furono dunque di ostacolo alla volontà di proiettarsi con decisione sul mercato nazionale e internazionale con la consapevolezza della squisitezza delle forme e dei decori, che fanno ancora oggi, degli esemplari rimasti, oggetti ricercati dai collezionisti di tutto il mondo.

La nascita delle Ceramiche Pucci, comunque, avviene in un momento storico ed economico particolarmente duro, perché, alle difficoltà generate dalla guerra, si aggiungono quelle non meno gravi del periodo postbellico quando l'urgenza di ricostruire il necessario faceva inevitabilmente passare in secondo ordine il desiderio di guardare con interesse a un bene che poteva considerarsi voluttuario.

I verbali di assemblea, già durante il conflitto, lamentavano le difficoltà di approvvigionamento delle materie prime, la necessità di sopperire all'assenza della manodopera maschile richiamata alle armi con personale femminile, le limitazioni o addirittura la sospensione, per decreto governativo, della produzione di un bene non compatibile con lo stato di guerra, la chiusura pressoché totale dei mercati internazionali, i costi energetici in continua ascesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel dopoguerra iniziano le difficoltà

Nonostante ciò, fatta eccezione per il 1944, anno del bombardamento di Umbertide, i bilanci riescono a chiudere in attivo, anche se con margini estremamente ridotti. Le vere difficoltà emergono nel dopoguerra, proprio nel momento in cui si attua la trasformazione e nasce il marchio Ceramiche Pucci. Quando in Italia prende il via la ricostruzione, infatti. il settore artigianale non trova nelle scelte dei governi appoggio sostanziale, che va invece a sostegno della grande impresa, come se solo quest'ultima dovesse reggere l'economia di un paese che cercava di risollevarsi. C'è comunque da osservare che l'artigianato, per sua stessa natura. non poteva riscuotere la vastità di consensi propria della grande industria e dell'agricoltura. Delusione e rincrescimento emergono costantemente nei verbali di assemblea del dopoguerra che vedono nel mancato appoggio governativo una pesante aggravante a una situazione già di per sé molto difficile, inevitabile conseguenza della precarietà del momento: i costi delle materie prime subiscono notevoli incrementi, l'energia elettrica nel 1949 sale di circa il 50 per cento rispetto al 1947, i contributi sociali e assicurati a carico del datore di lavoro aumentano del 40 per cento nel solo 1948, le percentuali nelle transazioni bancarie si fanno sempre più elevate.

La concorrenza sul mercato internazionale delle manifatture di altri paesi che hanno ripreso la loro attività diventa più serrata, il mercato interno del settore è in crisi, perché quel ceto medio, che costituiva gran parte della clientela, si trova costretto a volgere il suo interesse verso beni di prima necessità.

Tutte queste difficoltà consentono a stento il mantenimento del pareggio di bilancio e dei posti di lavoro, ma non producono utili che possano essere reinvestiti per espandere un'attività che, comunque, nella piccola realtà cittadina, svolge un ruolo economico di fondamentale importanza.

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Per superare le difficoltà si interviene su più fronti

Le scelte imprenditoriali, piuttosto complicate, vengono affrontate da Domenico Pucci con interventi immediati su più fronti, con l'obiettivo prioritario di consolidare la presenza nel mercato sia a difesa dei posti di lavoro che di quel "made in Italy" il quale, per sua consapevolezza e convinzione, riscuote apprezzamento per l'originalità e la qualità del prodotto.

Le questioni nodali su cui decide di operare sono molte e investono contemporaneamente sia gli elementi strutturali del processo produttivo che la distribuzione nei mercati:

- riorganizzazione della filiera;

- mantenimento dei vecchi prezzi per non ridurre le vendite oltre un certo limite e salvaguardare la produzione;

- diversificazione e riqualificazione del prodotto finalizzate alla conquista dei mercati esteri ancora sensibili al gusto e alla raffinatezza della ceramica artistica italiana.

L’ammodernamento della filiera, già avviato tra il 1943 e il 1944 quando la fabbrica viene trasferita da via XII Settembre a via Spalato (attuale via Spoletini), è completato negli ampi locali di nuova costruzione che ne facilitano la riorganizzazione in tutti gli aspetti.

La collocazione geografica, le linee di comunicazione, i mezzi di trasporto e le difficoltà insite nel periodo storico avevano indotto scelte che privilegiassero, quanto più possibile, funzionalità e autonomia. Quest'ultima si spingeva fino a dotare l'azienda di appendici funzionali quali una segheria per la produzione delle casse da imballaggio e dei trucioli, indispensabili per il sicuro trasferimento di una merce così delicata su lunghe tratte stradali, ferroviarie o addirittura transoceaniche. I residui della lavorazione erano utilizzati, nei periodi invernali, per il riscaldamento dei comparti, come il magazzino, che non erano raggiunti dal calore prodotto dai forni.

L'organizzazione degli spazi aziendali era concepita privilegiando un layout seriale che si imponeva di recepire gli schemi del lavoro industrializzato senza spingersi ai massimi livelli della catena produttiva, non propriamente adeguati a una produzione squisitamente e inequivocabilmente "artistica". La collocazione dei reparti evidenziava una specifica attenzione a minimizzare gli spazi di percorrenza dal momento che il materiale, molto delicato, nelle sue varie fasi di lavorazione veniva trasportato senza sistemi automatizzati; le zone "sporche" erano tenute separate dalle zone "pulite`, e inoltre erano localizzate zone a temperatura "naturalmente" controllata, per consentire una corretta fase di essiccamento delle crete lavorate. La terra veniva prelavorata in un padiglione esterno, dove, dalla materia prima prelevata dai campi, mediante sfarinamento e passaggio per le vasche di sedimentazione e fasi di filtraggio, si ottenevano pani di creta; questi entravano nella "fabbrica" vera e propria nella quale era possibile individuare i due "polmoni" del layout: la lavorazione della creta e la decorazione del cotto, separati fra loro dalla zona riservata ai forni di cottura, che servivano entrambi i reparti. Potendo contare su un'erogazione stabile di energia elettrica, ai forni a legna utilizzati nel periodo bellico erano stati sostituiti forni elettrici che, con un ciclo più stabile e controllato, aumentavano la qualità del prodotto.

Le fasi di cottura erano sempre due (creta-bistugio, bistugio-prodotto decorato), talvolta tre quando il manufatto veniva rifinito in oro zecchino o con smalti speciali.

La collocazione intermedia della zona dei forni favoriva un'equilibrata distribuzione del calore, che in inverno teneva a temperatura gli spazi di lavoro e in estate consentiva la dissipazione del calore in eccesso all'esterno, mediante un'opportuna aerazione della zona centrale, senza che venissero disturbati gli altri due reparti.

Il magazzino di deposito del prodotto finito, imballaggio e spedizione era un corpo limitrofo alla zona di produzione e vide, per gran parte del tempo, la zona di spedizione collocata in posizione strategica verso la stazione ferroviaria, situata nelle immediate vicinanze, poiché la consegna avveniva quasi totalmente mediante ferrovia. Dal magazzino le casse venivano trasferite, su carretti spinti a mano lungo un percorso molto breve, direttamente ai vagoni merci, attraverso un accesso riservato nel retro della stazione.

Il comparto esclusivamente commerciale e contabile aveva una zona riservata, ma sempre e comunque contigua alla zona di produzione, ed era fornito di una sala-mostra, la quale non era altro che l'archivio storico degli oggetti prodotti, sistematicamente segnati con il numero di catalogo o spesso, come succedeva per i prodotti di maggiore successo commerciale, con un nome che richiamava le caratteristiche più evidenti dell'elemento decorativo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La partecipazione a fiere e mostre in Italia e all’estero

Fuori dalla fabbrica, l'organizzazione aziendale si esprimeva con la commercializzazione del prodotto attraverso molteplici iniziative finalizzate a sviluppare la capacità d'ingresso nei mercati, prime fra tutte il sistema di rappresentanza e la partecipazione a eventi di interesse nazionale e internazionale come fiere campionarie e mostre permanenti. La presenza più o meno fissa di rappresentanti di notevole competenza in posizioni strategiche del territorio nazionale e internazionale (Europa, Centro e Nord America, Giappone) rivela scelte sensibili alle riaperture dei mercati nel dopoguerra. L'obiettivo è sostenere la concorrenza delle manifatture di altri paesi europei, come la Francia e la Germania, o extraeuropei, come il Giappone, che tra l'altro si giovano del sostegno dato al settore dai governi nazionali, quel sostegno che, come sottolineato in precedenza, viene a mancare alla vivacità produttiva e all'originalità artistica dell'impresa artigianale italiana.

È sempre nell'ottica del mercato che le Ceramiche Pucci sono sistematicamente fra gli espositori della Fiera Campionaria di Milano, sporadicamente anche fra quelli della Fiera del Levante di Bari e occasionalmente anche fra i presenti delle fiere di Toronto, Casablanca e Barcellona, con costi spesso consistenti, ma comunque giustificati dalla speranza di fatturati in ascesa.

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A monte di questi interventi c'è un incessante e attento lavoro di preparazione dei

campionari che ogni anno vedono rinnovate forme e decorazioni da parte di

maestranze estremamente qualificate e competenti, oltre che sensibili alle esigenze della clientela e agli orientamenti del gusto.

A questo proposito basta ricordare le decorazioni in oro zecchino e smalti speciali che caratterizzano i primi anni cinquanta, quando il gusto si orienta verso una maggiore ricchezza e colori vivaci e brillanti, espressione di una visione della realtà ormai lontana dall'austerità del periodo bellico.

Si tratta di una fase ben precisa che, nel corso degli anni cinquanta, promuove sul piano artistico scelte decorative particolari - che meglio caratterizzano l'originalità delle Ceramiche Pucci - e, sul piano commerciale, contribuisce a una valida affermazione del prodotto sui mercati, positivamente influenzata dalla rinascita economica ormai in atto.

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L’innovazione artistica, comunque, non perdeva mai di vista le due esigenze fondamentali della clientela, da individuare nella duplice diversificazione del prodotto e dei prezzi, due fronti sui quali vengono operate scelte precise volte alla creazione di un'oggettistica molto variegata; che dall'oggetto di puro e semplice arredamento decorativo (vasi, centrotavola, mattonelle decorative ecc.) va fino al manufatto sempre molto raffinato ma funzionale (servizi da tavola, da the, da caffè, da dolce, da gelato, da fumo, servizi per bambini ecc.), o addirittura all'articolo di pregio che grandi industrie dolciarie, come Perugina, Motta o Pernigotti, scelgono per la confezione di lusso dei propri prodotti.

La decorazione, per adeguarsi a una vasta gamma di prezzi, si differenzia pur mantenendo all'oggetto le stesse forme. Vengono proposti decori in duplice variante, con oro e smalti speciali e, conseguentemente, a prezzo più alto a causa dell'ulteriore fase di cottura; oppure senza oro e smalti speciali, e quindi a prezzi più contenuti, accessibili a una clientela più vasta. Questa fase di intensa ricerca di innovazione artistica e di mercato vede Domenico Pucci per un lungo periodo presente negli Stati Uniti. dove coadiuvato dalla capace collaborazione di rappresentanti qualificati, riesce a piazzare eterogenei e ricchi campionari che, all'epoca, consentirono al fatturato estero di compensare la stagnazione del mercato interno e che, oggi, trovano esemplari di prodotto firmato "Ceramiche Pucci Umbertide - made in Italy" custoditi gelosamente da collezionisti d'oltreoceano.

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Dal momento che le forme e il decoro sono legati all'originalità e all'estro di maestranze veramente capaci, non è possibile dimenticare l'abilità del personale addetto alla realizzazione finale del prodotto. La decorazione affidata a uno staff quasi esclusivamente femminile rivela l'acquisizione di abilità eccezionali, di padronanza di tecniche pittoriche diverse, nelle quali maestranze già esperte facevano scuola a quelle giovani che entravano nel mondo del lavoro senza la minima esperienza.

Al di là, infatti, dei corsi di apprendistato che l'azienda ebbe modo di organizzare in collaborazione con la Scuola di Avviamento Professionale, la vera scuola era la fabbrica. dove giorno dopo giorno le nuove leve imparavano, sperimentandole, le tecniche di ogni comparto produttivo per diventare operai e operaie qualificati e svolgere poi, in prima persona, il duplice ruolo di "maestranze" e di "maestri. Questa impostazione del lavoro svolse un ruolo socializzante di fondamentale importanza.

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La fabbrica anche come luogo di socializzazione

All'interno della fabbrica, infatti, dominava un'atmosfera familiare che escludeva ogni elemento fortemente individualizzante, consentendo a generazioni diverse di relazionarsi con spirito di collaborazione e, cosa da non sottovalutare all'epoca, dava alle donne ampi spazi per realizzarsi grazie all'impegno costante e paziente richiesto, che permetteva loro di acquisire abilità straordinarie, specialmente, come già detto, nel settore della decorazione.

Sono stati molti i momenti di socializzazione vissuti fuori dell'orario lavorativo negli stessi spazi della fabbrica, spazi che, in occasioni particolari, venivano addobbati dagli stessi operai per fare da piacevole sfondo a momenti ludici aperti anche alla partecipazione dei familiari.

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L'aggregazione era inoltre favorita da una realtà paesana, all'epoca ancora contenuta entro i limiti di una comunità e dalle stesse dimensioni della fabbrica; non tanto grande da contribuire alla dispersione dei rapporti interpersonali, né tanto piccola da restringerli a livello familiare. Una realtà che ha determinato un modo particolare di concepire l'esperienza lavorativa e ha inciso in modo significativo sul processo di aggregazione. Negli anni cinquanta è questa la fisionomia che caratterizza le Ceramiche Pucci e che, verso la fine del decennio, comincia ad assumere connotati diversi, strettamente dipendenti dai cambiamenti del gusto e dai rapporti con un mercato sempre più concorrenziale dove si impongono nuovi materiali che permettono di ottenere prodotti innovativi, di soddisfacente aspetto estetico, funzionali, resistenti e meno costosi.

Nel 1958 le Ceramiche Pucci si trasformano in Maioliche Pucci e nuove esigenze di ammodernamento chiesero di essere soddisfatte: il gusto si orienta verso forme e decori diversi che si concretizzano in una produzione di profonda cesura rispetto a quella del passato.

In questo periodo l'azienda si arricchisce del prezioso contributo di Orfei, grazie al quale la forma e il decoro evolvono verso un maggior geometrismo e stilizzazione che – sebbene espressione artistica di pregio - allontanano la nuova produzione da quegli elementi caratterizzanti le Ceramiche Pucci nella loro espressione più vera.

E’ questo un momento di sperimentazioni diverse anche sulla tipologia del prodotto, che si arricchisce del settore dei rivestimenti (piastrelle per pavimenti e murali), nei quali rivive il gusto della pennellata a mano, libera e sciolta.

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La produzione delle Maioliche Pucci cessa nel 1962

Si imponeva allora una scelta: abbassare il livello della manifattura orientandosi verso un prodotto più commerciale e meno raffinato o elevare il livello verso una produzione ancora più di nicchia sempre meno seriale e rivolta essenzialmente al pezzo da collezione.

Nessuna delle due linee fu giudicata perseguibile. La prima avrebbe rinnegato la storia delle Ceramiche Pucci, che aveva fatto del prodotto di qualità la sua bandiera, e trovato una concorrenza ancora più agguerrita; la seconda avrebbe dovuto trovare nelle generazioni successive uno spirito vitale, che non trovò: scelte diverse erano già state compiute.

La decisione presa, anche se sofferta. se non ha completamente soddisfatto, ha almeno rispettato tutte le esigenze, soprattutto alla luce del fatto che nei primi anni sessanta il boom economico si rifletteva anche a Umbertide in una crescita delle attività produttive sia all'interno dello stesso settore che in altre manifatture di qualità.

Quello che rimane oggi è, comunque. l'espressione significativa di un percorso artistico che ha lasciato un'impronta indelebile in ogni suo esemplare.

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Fonti:

- “Le Ceramiche Pucci” – Ed. Skira, 2006 –

Catalogo della Mostra alla Rocca

dal 10 giugno al 22 ottobre 2006

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Le foto sono state prese dal catalogo (escluse

quelle del ballo di carnevale che sono

dell’Archivio fotografico storico di Corradi

e quelle della mostra alla Rocca e delle pagine di

Umbertide Cronache che sono di Fabio Mariotti)

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Ceramiche Pucci - La storia
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