storia e memoria
IL RISORGIMENTO E I GARIBALDINI AD UMBERTIDE
A cura di
Fabio Mariotti
Il Risorgimento ad Umbertide
Novanta volontari umbertidesi parteciparono
alle battaglie per l’Italia unita
di Amedeo Massetti
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Il fascino trascinante della fama di Garibaldi, specie tra le file repubblicane e liberali, si diffuse anche alla Fratta e molti giovani lo seguirono con passione e attaccamento per circa venti anni, dalla prima all’ultima ora, dalla difesa di Roma repubblicana nel 1849, al tentativo di rovesciare il governo papalino a Mentana nel 1867. Con il capitano Luigi Vibi, sulle mura di Roma c’erano altri ventisei giovani della Fratta. Inoltre, altri 28 volontari umbertidesi accorsero nel 1859 nella Seconda Guerra di Indipendenza e ancora altri 23 nel 1866 a Condino e Bezzecca. A Mentana, nel 1867, erano presenti 31 ragazzi di Umbertide.
Tre di essi non fecero più ritorno: il 21 giugno 1849 il capitano Luigi Vibi fu colpito a morte a Porta di San Pancrazio sulle mura di Roma; il 16 luglio 1866 il caporale Giuseppe Mastriforti cadde a Condino in provincia di Trento; il 3 novembre 1867, Giovanni Battista Igi si sacrificò a Mentana.
La lapide in Piazza Matteotti riporta i nomi dei 90 volontari che contribuirono al raggiungimento dell’Unità Nazionale. Sono elencati in ordine alfabetico, senza distinzione delle campagne compiute. Alcuni di loro furono presenti in più di una campagna garibaldina.
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Tra coloro che persero la vita in quelle vicende, è doveroso ricordare Berlicche (Cipriano Angioloni). Era di Città di Castello, ma venne fucilato dagli Austriaci nello spiazzo all’inizio di via Secoli dopo i lavatoi pubblici. Lo chiamavano Berlicche, come uno dei diavoli, perché era un grande bestemmiatore che aveva seguito fino a due giorni prima Garibaldi. Giuseppe Bertanzi, in una lettera scritta all’amico Giuseppe Amicizia di Città di Castello, ci dice che possedeva una eccezionale agilità del corpo. Fu arrestato tra Mercatale e Cortona da una colonna austriaca e quasi certamente l’Angioloni doveva essere un anello della Trafila. La Trafila consisteva in una catena capillare di informatori segreti, diffusa nel territorio dello Stato Pontificio, che aiutò Garibaldi in tutti i suoi spostamenti. Fu grazie alla Trafila che, a Sant’Angelo in Vado, venne informato che per la Valle del Metauro risaliva una colonna austriaca per attaccarlo e la evitò dirigendosi a San Marino per la Valle del Foglia. Era il 28 luglio e Cipriano Angioloni venne fucilato il 30.
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Qualche giorno dopo, morta Anita nella pineta di Ravenna, il fuggiasco eroe riuscì a evitare la stretta morsa delle pattuglie austriache che lo braccavano da vicino grazie all’efficienza della Trafila.
I novanta giovani che seguirono Garibaldi appartenevano prevalentemente al ceto artigianale (fabbri, falegnami, sarti), a quello dei commercianti, dei possidenti, degli impiegati e della cultura. La stessa distribuzione sociale, del resto, la troviamo nell’impresa dei Mille (vedi documento appresso). Alle vicende del 20 giugno perugino del 1859 mancarono 800 giovani che erano partiti volontari per il nord dove si combatteva la Seconda Guerra di Indipendenza. Appartenevano agli stessi ceti. Nella terza, a Condino e Bezzecca, si ripeté lo stesso copione e tra i perugini c’erano anche Annibale Brugnoli e Zefferino Faina insieme a 23 umbertidesi.
La riflessione su questi dati ci porta a precisare l’affermazione di alcuni autorevoli storici che definiscono la Resistenza del 1943-45 un secondo Risorgimento, con la differenza che essa registrò una partecipazione di massa, mentre il primo fu solo opera di una élite. Questo giudizio si basa su una trasposizione frettolosa del concetto di “massa” nei due avvenimenti. Se sul piano sociologico la massa è costituita da tutto il popolo che forma una comunità, su quello politico è “popolo” l’elemento consapevole, motivato e partecipe alla vita della società civile. Verso la metà dell’Ottocento, la massa dei contadini non godeva di alcun diritto ed era spettatrice estranea e passiva ai piccoli e ai grandi avvenimenti che non la toccavano minimamente. La classe operaia era ancora nella fase iniziale della sua nascita. Cento anni dopo, le cose erano cambiate e anche il popolo dei campi e delle fabbriche partecipava alla vita politica, era organizzato in partiti e si era dato i propri sindacati di categoria. È logico che nelle file della Resistenza militassero anche quei ceti sociali che non erano presenti nelle lotte risorgimentali. Sulla base di queste considerazioni appaiono ingenerose le frustate che lo stesso Garibaldi nelle sue Memorie rifila all’assenza del popolo contadino tra le sue fila.
Al Risorgimento nazionale e a Garibaldi in particolare la comunità umbertidese offrì le sue migliori energie giovanili (la sua “massa” - molti avevano poco più di sedici anni -) appartenenti a quei ceti (artieri, possidenti, commercianti, impiegati, uomini di cultura) che avevano il privilegio della partecipazione e della consapevolezza. La cittadina di Umbertide in quel periodo contava 900 abitanti e 90 combattenti garibaldini rappresentano il 10% del totale. Una cifra elevata se si considera che non fu il frutto di un precetto di leva, ma di una scelta volontaria.
La fine delle lotte risorgimentali lasciò un segno profondo nella comunità umbertidese. L’unione fraterna, sperimentata nei campi di battaglia, ebbe un seguito nella Società dei Reduci delle Patrie Battaglie, un’Associazione numerosa e vivace fondata il 17 ottobre 1882. L’articolo 2 dello Statuto ne fissava lo scopo che era quello “della mutua assistenza, dell’istruzione morale e fisica e di ogni altro mezzo che congiuri al benessere della istituzione e delle idee liberali che essa propugna”. Non si trattava di un partito ante litteram, ma di un gruppo solidale, aperto e progressista che contrastava il conservatorismo e le nostalgie del nobilato agrario locale. Il Consiglio Direttivo era costituito, infatti, da elementi liberali e repubblicani di punta quali:
Giuseppe Utili, presidente
Filippo Natali, vice presidente
Aristide Reggiani, consigliere
Eugenio Vincenti, consigliere
Lorenzo Reali, consigliere
Alpinolo Sbarra, consigliere
Angelo Rometti, cassiere
Leopoldo Grilli, segretario.
In particolare il segretario Leopoldo Grilli, cui è stata dedicata una via, fu l’anima instancabile del movimento repubblicano di Umbertide. Era nato il 24 aprile del 1848 a Sigillo e gli ideali di Mazzini ben presto lo affascinarono, tanto che nel 1866 e 1867 si aggregò tra le file garibaldine a Condino e a Mentana. Non figura nella lapide dei novanta poiché in quel periodo era cittadino di Sigillo. Si trasferì ad Umbertide, infatti, nel 1870 e il 21 giugno 1874 si sposò con Francesca Natali. Fu il primo arrabbiato di sinistra in città e venne perseguitato, accusato e costretto a fuggire esule in Svizzera. Assolto dalle accuse mossegli tornò, e venne eletto per numerose legislature in Consiglio Comunale. Erano tempi duri per i repubblicani che venivano in ogni modo osteggiati dalla maggioranza liberale e monarchica che occupava i palazzi del potere e nel caso specifico di Umbertide il Palazzo Comunale. Un episodio è molto eloquente. Nel 1871, Filippo Natali, allora funzionario del Comune di Magione, scrisse al sindaco chiedendo che le ceneri di Luigi Vibi fossero riportate nel Cimitero di Umbertide, da quello di Santo Spirito, detto dei Centocinque, dove si trovavano. In seno al Consiglio si aprì una discussione infinita, come succede sempre quando non si vogliono fare le cose. Riportare le ceneri solo di Vibi, sarebbe stata un’offesa a Giovan Battista Igi e Giuseppe Mastriforti, si disse, che erano caduti per gli stessi ideali. Così invece di estendere il trattamento anche agli altri due, fu ritenuto più saggio non fare niente per nessuno. Dopo tanti discorsi venne posta una pietra anonima e scialba alla memoria di Vibi nel cimitero cittadino in cui si diceva che il capitano garibaldino, “di provata fede politica”, era caduto combattendo per l’indipendenza d’Italia. Non compare la parola “repubblicano” né il fatto che combattesse in difesa di una repubblica nata al posto dello Stato Pontificio. D’altra parte una cosa del genere stava per succedere a Perugia nel 1887 quando il Comitato Repubblicano decise di erigere il monumento a Giuseppe Garibaldi nell’ottantesimo della nascita. Ci fu chi sostenne che i monumenti dovevano essere due, uno al Perugino e l’altro a Baldo degli Ubaldi, il giureconsulto, perché la fama di Garibaldi chi sa se avrebbe durato.
Il 16 maggio del 1892 Leopoldo Grilli fu proposto come sindaco, ma non accettò l’incarico per non prestare giuramento di fedeltà al Re. Fu sindaco “facente funzione” solo per qualche mese e consegnò a Francesco Mavarelli il testimone ricevuto da Francesco Andreani. Gestiva un bar in via Cibo e morì il 22 settembre 1912.
In questo contesto è doveroso ricordare anche la figura di Giuseppe Bertanzi. Era nato ad Umbertide il 6 marzo 1837 da Paolo e Angelica Vibi. Ereditò l’amore patrio dallo zio materno, quel Luigi Vibi di cui abbiamo parlato. Liberale illuminato e impegnato, la sua vita non si intrecciò direttamente con le vicende garibaldine, ma fu egualmente un protagonista prestigioso e di primo piano nelle vicende risorgimentali perugine. Sulle mura del Frontone, il 20 giugno 1859, c’era anche lui, nella 3° compagnia comandata da Raffaele Omicini e in quella triste serata fu tra gli ultimi a fuggire dalla città per la Porta del Bulagaio con Francesco Guardabassi e Zefferino Faina. Un anno dopo, sarà lui a fare da guida alle truppe piemontesi di Fanti, che erano passate per Umbertide, lungo gli scoscesi pendii che salivano a Perugia, il 14 settembre 1860. Diverrà collaboratore stretto di Pepoli e segretario di Filippo Gualterio, primo prefetto di Perugia. Fu testimone diretto, e in parte anche protagonista, considerando il suo ruolo, nella serrata battaglia diplomatica tra Cavour, Pepoli e Gualterio da una parte, e Napoleone III (che difendeva gli interessi del Papa) dall’altra affinché Orvieto e Viterbo entrassero a far parte dell’Italia e non rimanessero al Patrimonio di San Pietro, ridotto ormai al solo Lazio. Come è noto, Orvieto, la città di Gualterio, fu assegnata all’Italia, mentre Viterbo rimase con Roma.
Quando si fece l’Italia, i ragazzi di Umbertide, molti dei quali non avevano ancora vent’anni, accorsero numerosi all’appello.
Ricerca storica di Amedeo Massetti
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Fonti:
- Archivio storico – Risorgimento umbro (1796 – 1870) fondato da Giuseppe prof. Mazzatinti e diretto da Giustiniano dott. Degli Azzi – Angelo dott. Fani / Anno II – Fascicolo II, Perugia – Unione Tipografica Cooperativa - 1906
- Umbertide nel Secolo XIX di Renato Codovini e Roberto Sciurpa – Comune di Umbertide – Ed. Gesp – 2001
- Calendario di Umbertide 2009 – Ed. Comune di Umbertide - 2009
La lapide nell'atrio del Palazzo Comunale in memoria
di Luigi Vibi, Giuseppe Mastriforti e Giovanni Battista Igi
I busti di Garibaldi e del Re sulla facciata del Palazzo Comunale
Nel 1884 il Comune volle ricordare le figure più significative del Risorgimento italiano: Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi. Ordinò due busti in marmo da porre sull’esterno di palazzo Bourbon ai lati del portone d’ingresso, allo scultore perugino Raffaele Angeletti per il prezzo di trecento lire ciascuno. Alla fine dell’anno il lavoro era pronto, ma i ritratti furono collocati dove sono attualmente solo la mattina del 22 febbraio 1885, alle ore 10, come risulta dal particolare avviso stampato dalla tipografia Tiberina ed inviato alle personalità del paese.
La lapide che ricorda l’uccisione di Cipriano Angioloni (Berlicche) in via Secoli,
nella zona dove avvenne la fucilazione ad opera degli austriaci
Il palazzo comunale di Umbertide. I busti di Garibaldi
e del Re Vittorio Emanuele II sono posti ai due lati
del portone principale d’ingresso.
La lapide in piazza Matteotti che
ricorda i 90 volontari umbertidesi
I Garibaldini di Umbertide
Commemorazione del Bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi
Museo di Santa Croce - 21 giugno 2007
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di Roberto Sciurpa
Nessun uomo in Italia ha raggiunto maggiore popolarità e acceso passioni profonde come Giuseppe Garibaldi. La sua fama si diffuse nei luoghi più sperduti e tra la gente più semplice, quando i mezzi di informazione erano scarsi e l'analfabetismo toccava picchi elevati.
Edoardo Ferravilla, autore teatrale milanese, tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento, creò un personaggio caratteristico del teatro meneghino, chiamato Tecoppa, mariuolo, imbroglione, amante degli espedienti più strani e quasi sempre in pretura per beghe giudiziarie. Quando si trovava a mal partito di fronte alle contestazioni delle sue malefatte, scagliava contro gli accusatori una insinuazione divenuta famosa: “Ha detto male di Garibaldi!”, e le parti si rovesciavano; Tecoppa da accusato diventava accusatore creduto dai giudici. Al di là della fiction teatrale, l'episodio testimonia l'alone di leggenda e la sacralità che circondava l'eroe dei due mondi.
Eppure, almeno intorno al 1848, Garibaldi non aveva fatto grandi cose in Italia. Era partito da Nizza nel 1834 con una condanna a morte sulla testa per aver partecipato ai moti in Savoia. L'anno prima aveva incontrato Mazzini a Marsiglia e si era iscritto alla Giovine Italia con lo pseudonimo di Borel. Dopo varie peripezie, sul finire del 1835 e l'inizio del 1836, fuggì esule nell'America del Sud, tra il Brasile e l'Uruguay, e lì rimase per dodici anni, compiendo gesta memorabili per il riscatto di quei popoli dalla dittatura. Ritornò a Nizza il 23 giugno 1848 accompagnato da una fama che i fogli clandestini dei repubblicani avevano opportunamente ingigantito.
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La prima Guerra di Indipendenza era in corso quando rimise piedi in Italia e sulla sua testa pendeva ancora la condanna a morte, mai revocata. A dispetto di ciò, venne ricevuto dal Re Carlo Alberto i1 5 luglio, segno evidente che il lavorio della diplomazia non ufficiale era in moto da tempo per accogliere il leggendario guerriero e metterlo in contatto con quel governo che l'aveva fatto condannare a morte. Ottenne solo fredda e diffidente attenzione da parte dei ministri piemontesi, consapevoli che Garibaldi era un uomo utile, ma da usare con prudenza e da tenere ai margini degli scenari importanti, non solo per le sue simpatie repubblicane, del resto molto ondivaghe, ma per la scarsa docilità ad ogni forma di regole e di ordini. In America aveva compiuto gesta eroiche, ma in Italia non si trattava di condurre azioni di guerriglia, come nel Rio Grande e in Uruguay, bensì di collaborare con altre unità dell'esercito regolare, all'interno di piani militari e di strategie decise da altri. Per questo motivo il ministro della guerra di Carlo Alberto non lo volle tra i suoi e per averlo disponibile ma lontano, gli propose di andare in soccorso al popolo di Venezia in rivolta. Garibaldi dimostrò subito la sua scarsa docilità agli ordini, e rifiutò il suggerimento del ministro accettando la richiesta di aiuto del governo provvisorio milanese, presieduto da Casati. Arrivò a Milano il 14 luglio 1848, appena dieci giorni prima della sconfitta di Custoza e dell'infausta conclusione della prima Guerra di Indipendenza.
Superato il periodo di comprensibile sbandamento dopo la delusione di Custoza, Garibaldi decise di andare a Venezia in soccorso dei patrioti che ancora difendevano la precaria Repubblica. Si trovava a Ravenna per imbarcarsi con i suoi volontari, quando lo raggiunse la notizia dell'uccisione di Pellegrino Rossi, della fuga del papa Pio IX a Gaeta e della proclamazione della Repubblica Romana. I suoi piani mutarono e decise di correre in aiuto della Repubblica Romana che rappresentava il simbolo più luminoso della lotta patriottica italiana. Non mandò delegazioni, ma si recò personalmente a Roma per decidere sul da farsi.
In questa occasione passò per la Fratta e pernottò in casa Vibi, lasciando in ricordo il suo cannocchiale, gelosamente custodito dai pronipoti della famiglia. Una ricostruzione ragionevole degli avvenimenti ci consente di stabilire che Garibaldi il 15 novembre (giorno dell'assassinio di Pellegrino Rossi) si trovava a Ravenna in attesa di imbarcarsi per Venezia. Decise, come abbiamo ricordato, di recarsi a Roma “per prendere contatti con il Ministro della Guerra affinché mettesse fine, una volta per tutte, alla nostra esistenza vagabonda” (Memorie) e acquartierò i suoi volontari a Cesena. Nella seconda metà di novembre, quindi, Garibaldi si mise in viaggio per Roma e scese alla Fratta attraverso il passo del Verghereto. Allo stesso periodo, infatti, risalgono altre sue presenze a Foligno e a Cascia. A Roma arrivò il 12 dicembre, come è testimoniato da un volantino diffuso dai repubblicani romani il giorno dopo.
Il fascino trascinante della sua fama, specie tra le file repubblicane e liberali, si diffuse anche alla Fratta e molti giovani lo seguirono con passione e attaccamento per circa venti anni, dalla prima all'ultima ora, dalla difesa di Roma repubblicana nel 1849 al tentativo di rovesciare il governo papalino a Mentana nel 1867. Giova ricordare che con il capitano Luigi Vibi, sulle mura di Roma c'erano altri ventisei giovani della Fratta. Giova ricordare, inoltre, che altri 28 volontari umbertidesi accorsero nel 1859 nella Seconda Guerra di Indipendenza e ancora altri 23 nel 1866 a Condino e Bezzecca. A Mentana, nel 1867, erano presenti 31 ragazzi di Umbertide.
Tre di essi non fecero più ritorno: il 21 giugno 1849 il capitano Luigi Vibi fu colpito a morte a Porta di San Pancrazio sulle mura di Roma; il 16 luglio 1866 il caporale Giuseppe Mastriforti cadde a Condino in provincia di Trento; il 3 novembre 1867, Giovanni Battista Igi si sacrificò a Mentana.
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La lapide che abbiamo poco fa onorato in Piazza Matteotti riporta i nomi dei 90 generosi volontari che contribuirono al raggiungimento dell'Unità Nazionale. Sono elencati in ordine alfabetico, senza distinzione delle campagne compiute. Alcuni di loro furono presenti in più di una campagna garibaldina.
Tra coloro che persero la vita in quelle vicende, è doveroso ricordare Berlicche. Cipriano Angioloni era di Città di Castello, ma venne fucilato dagli Austriaci nello spiazzo che abbiamo poco fa visitato. Lo chiamavano Berlicche, come uno dei diavoli, perché era un bestemmiatore raffinato e creativo che aveva seguito fino a due giorni prima Garibaldi. Giuseppe Bertanzi, in una lettera scritta all'amico Giuseppe Amicizia di Città di Castello, ci dice che possedeva una eccezionale agilità del corpo. Fu arrestato tra Mercatale e Cortona da una colonna austriaca e quasi certamente l'Angioloni doveva essere un anello della Trafila. La Trafila consisteva in una catena capillare di informatori segreti, diffusa nel territorio dello Stato Pontificio, che aiutò Garibaldi in tutti i suoi spostamenti. Fu grazie alla Trafila che a Sant'Angelo in Vado, venne informato che per la Valle del Metauro risaliva una colonna austriaca per attaccarlo e la evitò dirigendosi a San Marino per la Valle del Foglia. Era il 28 luglio e Cipriano Angioloni venne fucilato il 30. Qualche giorno dopo, morta Anita nella pineta di Ravenna, il fuggiasco eroe riuscì a evitare la stretta morsa delle pattuglie austriache che lo braccavano da vicino grazie all'efficienza della Trafila.
I novanta giovani che seguirono Garibaldi appartenevano prevalentemente al ceto artigianale (fabbri, falegnami, sarti), a quello dei commercianti, dei possidenti, degli impiegati e della cultura. La stessa distribuzione sociale, del resto, la troviamo nell'impresa dei Mille (vedi documento appresso). Alle vicende del 20 giugno perugino del 1859, di cui ieri si è celebrata la ricorrenza, mancarono 800 giovani che erano partiti volontari per il nord dove si combatteva la Seconda Guerra di Indipendenza. Appartenevano agli stessi ceti. Nella terza, a Condino e Bezzecca, si ripeté lo stesso copione e tra i perugini c'erano anche Annibale Brugnoli e Zefferino Faina insieme a 23 umbertidesi.
La riflessione su questi dati ci porta a precisare l'affermazione di alcuni autorevoli storici che definiscono la Resistenza del 1943-45 un secondo Risorgimento, con la differenza che essa registrò una partecipazione di massa, mentre il primo fu solo opera di una élite. Simile giudizio si basa su una trasposizione frettolosa del concetto di “massa” nei due avvenimenti. Se sul piano sociologico la massa è costituita da tutto il popolo che forma una comunità, su quello politico è “popolo” l'elemento consapevole, motivato e partecipe alla vita della società civile. Verso la metà dell'Ottocento, la massa dei contadini non godeva di alcun diritto ed era spettatrice estranea e passiva ai piccoli e ai grandi avvenimenti che non la toccavano minimamente. La classe operaia era ancora nella fase iniziale della sua nascita. Cento anni dopo, le cose erano cambiate e anche il popolo dei campi e delle fabbriche partecipava alla vita politica, era organizzato in partiti e si era dato i propri sindacati di categoria. E’ logico che nelle file della Resistenza militassero anche quei ceti sociali che non erano presenti nelle lotte risorgimentali. Sulla base di queste considerazioni appaiono ingenerose le frustate che lo stesso Garibaldi nelle sue Memorie rifila all'assenza del popolo contadino tra le sue fila.
Al Risorgimento nazionale e a Garibaldi in particolare la comunità umbertidese offrì le sue migliori energie giovanili (la sua “massa” - molti avevano poco più di sedici anni -) appartenenti a quei ceti (artieri, possidenti, commercianti, impiegati, uomini di cultura) che avevano il privilegio della partecipazione e della consapevolezza. La cittadina di Umbertide in quel periodo contava 900 abitanti e 90 combattenti garibaldini rappresentano il 10% del totale. Una cifra elevata se si considera che non fu il frutto di un precetto di leva, ma di una scelta volontaria.
La fine delle lotte risorgimentali lasciò un segno profondo nella comunità umbertidese. L'unione fraterna sperimentata nei campi di battaglia ebbe un seguito nella Società dei Reduci delle Patrie Battaglie, un'Associazione numerosa e vivace fondata il 17 ottobre 1882. L'articolo 2 dello Statuto ne fissava lo scopo che era quello “della mutua assistenza, dell'istruzione morale e fisica e di ogni altro mezzo che congiuri al benessere della istituzione e delle idee liberali che essa propugna”. Non si trattava di un partito ante litteram, ma di un gruppo solidale, aperto e progressista che contrastava il conservatorismo e le nostalgie del nobilato agrario locale. Il Consiglio Direttivo era costituito, infatti, da elementi liberali e repubblicani di punta quali:
- Giuseppe Utili, presidente
- Filippo Natali, vice presidente
- Aristide Reggiani, consigliere
- Eugenio Vincenti, consigliere
- Lorenzo Reali, consigliere
- Alpinolo Sbarra, consigliere
- Angelo Rometti, cassiere
- Leopoldo Grilli, segretario.
In particolare il segretario Leopoldo Grilli, cui è stata dedicata la via che abbiamo visitato, fu l'anima instancabile del movimento repubblicano di Umbertide. Era nato il 24 aprile del 1848 a Sigillo e gli ideali di Mazzini ben presto lo affascinarono, tanto che nel 1866 e 1867 si aggregò tra le file garibaldine a Condino e a Mentana. Non figura nella lapide dei novanta poiché in quel periodo era cittadino di Sigillo. Si trasferì ad Umbertide, infatti, nel 1870 e il 21 giugno 1874 si sposò con Francesca Natali. Fu il primo arrabbiato di sinistra in città e venne perseguitato, accusato e costretto a fuggire esule in Svizzera. Assolto dalle accuse mossegli tornò tra noi e venne eletto per numerose legislature in Consiglio Comunale. Erano tempi duri per i repubblicani che venivano in ogni modo osteggiati dalla maggioranza liberale e monarchica che occupava i palazzi del potere e nel caso specifico di Umbertide il Palazzo Comunale. Un episodio è molto eloquente. Nel 1871, Filippo Natali, allora funzionario del Comune di Magione, scrisse al sindaco chiedendo che le ceneri di Luigi Vibi fossero riportate nel Cimitero di Umbertide, da quello di Santo Spirito, detto dei Centocinque, dove si trovavano. In seno al Consiglio si aprì una discussione infinita, come succede sempre quando non si vogliono fare le cose. Riportare le ceneri solo di Vibi, sarebbe stata un'offesa a Giovan Battista Igi e Giuseppe Mastriforti, si disse, che erano caduti per gli stessi ideali. Così invece di estendere il trattamento anche agli altri due, fu ritenuto più saggio non fare niente per nessuno. Dopo tanti discorsi venne posta una pietra anonima e scialba alla memoria di Vibi nel cimitero cittadino in cui si diceva che il capitano garibaldino, “di provata fede politica”, era caduto combattendo per l'indipendenza d'Italia. Non compare la parola “repubblicano” né il fatto che combattesse in difesa di una repubblica nata al posto dello Stato Pontificio. D'altra parte una cosa del genere stava per succedere a Perugia nel 1887 quando il Comitato Repubblicano decise di erigere il monumento a Giuseppe Garibaldi nell'ottantesimo della nascita. Ci fu chi sostenne che i monumenti dovevano essere due, uno al Perugino e l'altro a Baldo degli Ubaldi, il giureconsulto, perché la fama di Garibaldi chi sa se avrebbe durato.
Il 16 maggio del 1892 Leopoldo Grilli fu proposto come sindaco, ma non accettò l'incarico per non prestare giuramento di fedeltà al Re. Fu sindaco “facente funzione” solo per qualche mese e consegnò a Francesco Mavarelli il testimone ricevuto da Francesco Andreani. Gestiva un bar in via Cibo e morì i1 22 settembre 1912.
In questo contesto ritengo doveroso ricordare anche la figura di Giuseppe Bertanzi. Era nato ad Umbertide il 6 marzo 1837 da Paolo e Angelica Vibi. Ereditò l'amore patrio dallo zio materno, quel Luigi Vibi di cui abbiamo parlato. Liberale illuminato e impegnato, la sua vita non si intrecciò direttamente con le vicende garibaldine, ma fu egualmente un protagonista prestigioso e di primo piano nelle vicende risorgimentali perugine. Sulle mura del Frontone, il 20 giugno 1859, c'era anche lui, nella 3ª compagnia comandata da Raffaele Omicini e in quella triste serata fu tra gli ultimi a fuggire dalla città per la Porta del Bulagaio con Francesco Guardabassi e Zefferino Faina.
Un anno dopo, sarà lui a fare da guida alle truppe piemontesi di Fanti, che erano passate per Umbertide, lungo gli scoscesi pendii che salivano a Perugia, il 14 settembre 1860. Diverrà collaboratore stretto di Pepoli e segretario di Filippo Gualterio, primo prefetto di Perugia. Fu testimone diretto, e in parte anche protagonista, considerando il suo ruolo, nella serrata battaglia diplomatica tra Cavour, Pepoli e Gualterio da una parte, e Napoleone III (che difendeva gli interessi del Papa) dall'altra affinché Orvieto e Viterbo entrassero a far parte dell'Italia e non rimanessero al Patrimonio di San Pietro, ridotto ormai al solo Lazio. Come è noto, Orvieto, la città di Gualterio, fu assegnata all'Italia, mentre Viterbo rimase con Roma.
Quando si fece l'Italia, i ragazzi di Umbertide, molti dei quali non avevano ancora vent'anni, accorsero numerosi all'appello.
DOCUMENTI
1848-49: PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA E DIFESA DELLA REPUBBLICA ROMANA
GIOVANI UMBERTIDESI PRESENTI
1. Agostini Giuseppe, capitano a Venezia e a Roma
2. Banelli Giovanni
3. Baldacci Luigi
4. Benedetti Antonio
5. Benedetti Settimio
6. Bettoni Domenico
7. Baracchini Domenico, (legione Garibaldi)
8. Cencini Filippo, (legione Garibaldi)
9. Cristoferi Angelo Antonio
10. Facchini Giovanni Domenico
11. Faticoni Alessandro, (legione Roselli)
12. Igi Domenico
13. Igi Giovanni Battista
14. Iotti Antonio
15. Iotti Carlo
16. Iotti Domenico
17. Livi Gabriele
18. Mastriforti Domenico
19. Mercanti Francesco, (Colonna Zambianchi)
20. Pasquali Antonio
21. Romitelli Fioravante
22. Romitelli Luigi
23. Romitelli Tito, (nel 1831 aveva partecipato ai moti di Rimini)
24. Rovinati Giuseppe
25. Tonanni Settimio
26. Vibi Luigi, (Capitano, morto a Roma), possidente laureato
1859: SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA - GIOVANI UMBERTIDESI PRESENTI
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1. Baldacci Domenico
2. Barcaroli Domenico, (20° Regg.to)
3. Bastianelli Mauro
4. Boldrini Giovanni
5. Baracchini Giovanni, (20° Regg.to)
6. Carotini Serafino
7. Censi Amerigo
8. Ciangottini Bartolomeo, (20° Regg.to)
9. Cristoferi Angelo Antonio
10. Faticoni Alessandro
11. Garognoli Giovanni Battista, (20° Regg.to)
12. Giappichelli Genesio, (caporale del genio), fabbro nato 1' 11 luglio 1841
13. Igi Domenico
14. Igi Giovanni Battista
15. Igi Giuseppe fu Antonio
16. Igi Settimio
17. Manganelli Agostino
18. Mencarelli Gervasio
19. Natali Filippo, (caporale 38° Regg.to)
20. Polidori Luigi, (44° Regg.to)
21. Porrini Enrico
22. Reggiani Aristide, (caporale maggiore del 38° Regg.to), possidente commerciante nato nel 1840
23. Santini Giuseppe
24. Santini Leopoldo
25. Valdambrini Giovanni
26. Valeri Luigi
27. Vespucci Americo, artigiano
28. Vibi Gervasio
1866: TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA - GIOVANI UMBERTIDESI PRESENTI
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1. Barattini Mariano
2. Barcaroli Domenico
3. Benedetti Odoardo
4. Bertanzi Giuseppe
5. Burelli Alessandro
6. Caneschi Tommaso
7. Censi Americo
8. Ciangottini Bartolomeo
9. Crisostomi Nazzareno
10. Frati Valeriani
11. Gili Silvio
12. Igi Giuseppe di Giovanni Battista, (caporale)
13. Maccarelli Maccario, (prigioniero a Condino)
14. Magi Spinetti Lavinio
15. Masciarri Paolo
16. Mastriforti Giuseppe, (caporale morto a Condino)
17. Mastriforti Ruggero
18. Morelli Giovanni Battista
19. Polidori Luigi
20. Santini Giuseppe
21. Santini Pio
22. Testi Luigi
23. Valdambrini Giovanni
1867: MENTANA - GIOVANI UMBERTIDESI PRESENTI
1. Barattini Mariano
2. Barcaroli Domenico, (prigioniero)
3. Bartoccini Sante
4. Bellezzi Giacomo
5. Benedetti Odoardo nato il 13 luglio 1847
6. Burelli Alessandro, (sottotenente farmacista)
7. Caneschi Pericle
8. Caneschi Tommaso
9. Checconi Luigi, (prigioniero)
10. Ciangottini Michelangelo
11. Fornaci Salvatore, fabbro nato il 22 giugno 1850
12. Fratini Giuseppe
13. Giappichelli Genesio
14. Gili Silvio
15. Igi Giovanni Battista (morto a Mentana)
16. Latterini Retinico
17. Maccarelli Maccario, falegname nato il 7 aprile 1847
18. Maccarelli Torello, sarto nato il 15 maggio 1850
19. Martinelli Massimo, musicista nato il 12 marzo 1846
20. Migliorati Giovanni
21. Morelli Giovanni Battista
22. Polidori Luigi
23. Porrini Domenico, donzello comunale nato l'11 agosto 1848
24. Rometti Settimio
25. Rovinati Giuseppe
26. Santini Pio (tenente)
27. Testi Luigi
28. Tonanni Agostino
29. Troni Giuliano
30. Valdambrini Giovanni
31. Vespucci Americo
DAGLI ELENCHI PRECEDENTI VENGONO ESTRAPOLATI I NOMINATIVI DEI VOLONTARI CHE HANNO PARTECIPATO A PIÙ DI UNA CAMPAGNA CON LA RELATIVA INDICAZIONE
PARTECIPANTI A TRE CAMPAGNE
1. Barcaroli Domenico 1859 1866 1867
2. Igi Giovanni Battista 1849 1859 1867 morto a Mentana
3. Polidori Luigi 1859 1866 1867
4. Valdambrini Giovanni1859 1866 1867
PARTECIPANTI A DUE CAMPAGNE
1. Burelli Alessandro 1866 1867
2. Caneschi Pericle 1866 1867
3. Censi Amerigo 1859 1866
4. Ciangottini Bartolomeo 1859 1866
5. Cristoferi Angelo Antonio 1849 1859
6. Faticoni Alessandro 1849 1859
7 Giappichelli Genesio 1859 1867
8. Gili Silvio 1866 1867
9. Maccarelli Maccario 1866 1867
10. Morelli Giovanni Battista 1866 1867
11. Santini Giuseppe 1859 1866
12. Santini Pio 1866 1867
13. Testi Luigi 1866 1867
14. Vespucci Amerigo 1859 1867
Fonte: Archivio Storico del Risorgimento, vol. II - Archivio di Stato di Perugia - Posizione: Umbria Gen. 2-2 pp. 132 e segg.
DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA DEI MILLE
REGIONE DI APPARTENENZA
- 443 lombardi
- 160 veneti
- 157 liguri
- 80 toscani
- 45 siciliani
- 38 emiliani
- 30 piemontesi
- 20 friulani
- 20 calabresi
- 19 campani
- 14 trentini
- 11 marchigiani
- 10 laziali
- 5 pugliesi
- 4 umbri
- 3 nizzardi
- 3 sardi
- l lucano
- 1 sudtirolese
- l savoiano
- 1 abruzzese
- 8 nati all'estero
- 4 ungheresi
- 2 svizzeri
- 1 corso
TOTALE 1091. II 79,15% sono padani e solo il 10,6% appartengono alle altre regioni
DISTRIBUZIONE SOCIALE DEI MILLE
- 253 intellettuali
- 321 artigiani o commercianti
- 203 possidenti
- 203 militari (di cui 15 diventeranno generali)
- 20 operai
- 11 braccianti
- 9 contadini
- 48 analfabeti
- 10 israeliti
- 8 ex preti
- 1 donna (Rosalia Montmasson, la morosa di Crispi)
Fonte: Gilberto Oneto: L’Iperitaliano, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2006, pp. 104 e 105.
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Fonti:
“UN UOMO LIBERO – Roberto Sciurpa, un appassionato impegno civile” - a cura di
Federico Sciurpa – Petruzzi editore, Città di Castello, giugno 2012
IL SOGGIORNO DI GARIBALDI A FRATTA
Fu ospite, nel novembre 1848, della famiglia Vibi nel palazzo presso
il ponte sul Tevere distrutto dal bombardamento aereo del 25 aprile 1944
di Roberto Sciurpa
(Da “Umbertide Cronache n.1 2002)
A giudicare dalle numerose lapidi che ricordano i luoghi dove dormì Garibaldi, si potrebbe credere che l'eroe dei due mondi fosse più un sacerdote di Morfeo che uomo d'azione divorato dalla passione per un'Italia unita e indipendente.
In realtà egli non disponeva di caserme dove acquartierare i suoi soldati e tanto meno di una casa stabile per trascorrere in serenità i brevi momenti di pausa tra un'impresa militare e l'altra nel turbinoso vortice degli avvenimenti del Risorgimento Italiano. Dormiva dove capitava durante i trasferimenti da una località all'altra della penisola e quando le esigente strategiche non reclamavano la sua presenza tra i soldati, gli capitava di essere ospitato presso le famiglie che avevano a cuore, come lui, gli ideali unitari e a volte anche quelli repubblicani. Poi, come spesso succede, quando delle gesta dell'eroe si sono appropriate la popolarità e la storia, tutti si sono dati un gran da fare nel segnalare le tracce della sua presenza.
Una di queste notti, Garibaldi la trascorse anche nella nostra terra, ospite dei Signori Vibi, famiglia storica, facoltosa e autorevole nella Fratta del tempo, dove si respirava una purissima aria repubblicana. Un suo esponente, il valoroso capitano Luigi, cadrà in difesa della Repubblica Romana i1 21 giugno 1849, a fianco di Garibaldi. I Vibi possedevano un imponente palazzo che presidiava la sponda sinistra del Tevere e controllava le principali porte di accesso al castello nel lato sud: quella sul ponte del Tevere più prossima all'abitato, la porta di S. Francesco e la porta che immetteva sulla via Diritta (oggi via Cibo). Il bombardamento alleato del 1944 ha distrutto l'edificio; solo l'area in cui sorgeva ne testimonia oggi il ricordo (Largo Vibi).
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Giancarlo Vibi è il geloso depositario delle memorie di famiglia che si tramandano di generazione in generazione con comprensibile fierezza e composto riserbo, tanto che all'avvenimento non è mai stata data ostentata pubblicità. Egli racconta che fu messo a disposizione del Generale un grande letto di noce decorato con colonnine di fattura pregevole, al centro di una grande stanza arredata con sobria eleganza. L'ospite sapeva di trovarsi tra amici fidati che condividevano i suoi ideali ed è verosimile, anzi quasi certo, che in questa circostanza abbia avuto modo di conoscere Luigi che pochi mesi dopo sarebbe caduto ai suoi ordini, come ufficiale subalterno, sulle mura di Roma. L'indomani, prima di partire, come ringraziamento e pegno di amicizia, lasciò alla famiglia il suo cannocchiale rivestito di mogano e ottone che è custodito, ancor oggi, con amorevole cura da Giancarlo.
II Vibi non è in grado di precisare la data dell'avvenimento e non ci resta altro che ripercorrere
gli spostamenti di Garibaldi in quel tempo, così come egli stesso li ricostruisce nelle sue
Memorie, per individuare, con ragionevole approssimazione, almeno il periodo del suo
passaggio per il castello di Fratta.
Sulla base di tale criterio di ricerca, sappiamo per certo che il 15 novembre 1848, quando
con l'assassinio di Pellegrino Rossi ebbe inizio a Roma la rivolta repubblicana, Garibaldi
si trovava a Ravenna, alla testa di un manipolo di volontari in attesa di imbarcarsi per
Venezia per dare man forte alla resistenza della città lagunare. I fatti di Roma
determinarono un cambiamento dei programmi poiché la difesa della nascente repubblica
romana era un avvenimento politico prioritario ed emblematico che andava sorretto ad
ogni costo, senza dire che quando si trattava di arrecare dispiaceri al papa, Garibaldi
non si faceva pregare due volte. Decise, perciò, di spostarsi a Cesena dove acquartierò
i suoi soldati e di recarsi poi a Roma per prendere contatti con le nuove autorità politiche
e mettersi a loro disposizione.
Ma accanto a questi motivi ne fa capolino un altro umano e comprensibile, candidamente
confessato nelle Memorie, legato al desiderio e alla necessità di trovare un punto di
riferimento stabile e forse anche un “inquadramento” definitivo per il suo organico
militare, sempre a corto di risorse economiche. Egli afferma testualmente che andava
a Roma “per prendere contatti con il Ministro della Guerra affinché mettesse fine, una volta per tutte, alla nostra esistenza vagabonda”.
In questa circostanza Garibaldi, accompagnato da una ridottissima scorta, percorse la valle del Savio e poi quella del Tevere (il tracciato dell'attuale E 45) passando per la terra di Fratta. II pernottamento in casa Vibi è collocabile, pertanto, tra la fine di novembre e i primi di dicembre 1848. Agli inizi di gennaio del 1849, infatti, conclusi gli accordi con il governo provvisorio di Roma, Garibaldi si incontrò a Foligno con i suoi volontari, che avevano percorso la sua stessa strada, e alla loro testa si recò a Macerata.
Foto:
Archivio fotografico storico del
Comune di Umbertide
Fonti:
Articolo su “Umbertide Cronache”
– n.1 2002 – Pag.46