storia e memoria
La Deposizione della Croce
Luca Signorelli e la Deposizione della Croce
Proponiamo dalla Tesi di Laurea della professoressa Ricci Vitiani Valentina su “LA COMMITTENZA DI LUCA SIGNORELLI IN UMBRIA: NUOVE INDAGINI E RICERCHE”, a.a. 2002-03, Università degli Studi di Perugia, un sunto dell’impostazione iniziale che inquadra la presenza e l’attività del pittore nelle nostre zone e l riportiamo per intero la sezione sulla nostra “Deposizione della Croce”.
La sezione con i documenti esplicativi e la bibliografia utilizzata è qua riprodotta per intero.
La tesi di Laurea completa è invece consultabile in questa sezione dedicata alle Tesi di Laurea inedite: https://www.umbertidestoria.net/tesi-di-laurea
Foto di Fabio Mariotti: La Deposizione della Croce di Luca Signorelli
(a cura di Valentina Ricci Vitiani)
Introduzione
L’esperienza di Luca Signorelli a Firenze subì una brusca interruzione nel 1492, con la morte del Magnifico. Allontanatosi dal capoluogo toscano il pittore si troverà impegnato in periferia, sempre però in un ambiente ricettivo ed aperto ed oltretutto storicamente a perenne contatto con la più avanzata corte medicea cui sovente aveva mostrato fedeltà ed offerto il proprio aiuto.
L’attività artistica di Luca Signorelli nell’Alta Valle del Tevere fu notevole: le fonti attestano la presenza di numerose pale d’altare licenziate dal cortonese, ma anche i palazzi privati ospitarono opere dell’artista. Nell’Alta Valle del Tevere la produzione del pittore si concentrò in particolare a Città di Castello, della quale l’artista nel 1488 divenne ad honorem cittadino. A Città di Castello l’attività copiosa del cortonese fu dunque legata ai rapporti con l’illustre famiglia Vitelli, presso la quale il pittore rivestì il ruolo di vero e proprio artista di corte.
Nella città il pittore fu già attivo a partire dal 1474, anche se la maggior parte dei lavori è databile tra il 1493 ed il 1498. Successivamente quando la geografia pittorica dell’artista si ridusse agli ambienti periferici del comprensorio cortonese, le sue opere raggiungeranno Morra, Montone, Umbertide.
Forse la fama del pittore che lavorò a Montone procurò all’artista l’allogazione della Deposizione dalla Croce da parte della Confraternita di S.Croce di Fratta, l’odierna Umbertide: inducono ad una riflessione simile diverse considerazioni, tra cui la vicinanza geografica tra i due centri e quella cronologica dell’esecuzione delle due pale d’altare.
Per la tavola di Umbertide l’ indagine ha contribuito in maniera efficace a puntualizzare aspetti che in passato, a causa di un’ interpretazione poco corretta dei documenti conosciuti, sono stati fraintesi. In particolare è stato possibile rintracciare nell’Archivio di Stato di Perugia una nuova fonte documentaria, la prima in ordine cronologico che riguarda il progetto dei committenti di affidare al cortonese l’esecuzione della tavola. Si tratta di un atto notarile stipulato l’otto luglio 1515 dalla stessa Confraternita che contiene la nomina dei procuratori Orsino di Giovanni e Giacomo di Arcangelo, incaricati di giungere a patti e obbligazioni con mastro Luca pittore di Cortona e di ricevere dallo stesso le promesse “pro pingendo per ipsum unam tabulam sive cunam“, documento precedente l’atto di allogazione del quadro, purtroppo a tutt’oggi non rinvenuto. Il documento perugino è stato prezioso nella correzione di certe informazioni inesatte che in passato si erano volute leggere in alcune carte notarili del tempo conservate nell’Archivio Comunale di Umbertide e conosciute fin dall’Ottocento per via della trascrizione che ne fece il Gualandi. Sulla base di interpretazioni poco corrette di gran parte del materiale venuto alla luce, gli studiosi hanno supposto per la Deposizione l’esistenza di una cimasa realizzata da Luca Signorelli a conclusione della grande tavola. In verità questa parte del quadro, teoricamente una Pietà, non risulta documentata, poiché i termini contenuti nei documenti e che avrebbero dovuto riferirsi a questa, sono stati corretti nella loro inesatta trascrizione ed interpretazione. È stato altresì interessante soffermarsi sui richiami della tavola umbertidese alla letteratura locale del tempo, in particolare in merito ai testi delle sacre rappresentazioni allestite dai disciplinati della Confraternita di Santa Croce incentrate sul tema della Passione: è soprattutto con un testo risalente al 1496 che la concitata e teatrale Deposizione dalla Croce mostra aderenze significative in diversi dettagli.
LA COMMITTENZA DI LUCA SIGNORELLI IN UMBRIA:
NUOVE INDAGINI E RICERCHE
di
Valentina Ricci Vitiani
Deposizione dalla croce
1517
Umbertide, Museo di Santa Croce,
Olio su Tavola, cm. 198 x 147,
tavola principale;
cm 17,5 x 184, predella
Firmata e datata sulla predella: LVCAS SIGNORELLVS
DE CORTONA PICTOR PINGEBAT/ M.D./ .XVI
Iscrizione sulla croce: INRI
Provenienza: Umbertide, chiesa di Santa Croce.
L’episodio in primo piano nella pala è quello della Deposizione dalla Croce del corpo di Cristo: due uomini, sopra due scale, con cura Lo calano dal Legno; ai piedi è la Vergine svenuta, il corpo lasciato cadere sulle ginocchia della donna pia. Assistono all’ episodio la Maddalena, che tende la mano a raccogliere il sangue che ancora sgorga dal corpo morto del Cristo, Maria di Cleofe e Salome; il personaggio femminile in primo piano sulla sinistra, abbigliato con vesti preziose, è stato identificato da Daniel Estivill con una figura simbolica “che potrebbe rappresentare la Santa Chiesa, in atteggiamento di contemplazione davanti al mistero della passione del Figlio di Dio fatto uomo”: per lo studioso i colori delle vesti di questa potrebbero alludere a specifiche virtù, il bianco alla purezza della fede, il rosso alla carità, il verde alla speranza, virtù che “definiscono l’ideale della vita della Chiesa”, mentre l’aureola del personaggio starebbe a indicarne la nota di santità. In realtà una simile interpretazione non sembra troppo convincente; più verosimile l’ipotesi che si possa trattare di Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, cui si deve la scoperta della reliquia della Santa Croce. Nel gruppo sotto la Croce c’è anche Cassio e S.Giovanni Evangelista. Dietro la scena principale, nel paesaggio sullo sfondo, sono raffigurati gli episodi che precedono e seguono la Deposizione: sulla sinistra le tre croci del Cristo e dei due ladroni, sulla destra il corpo irrigidito del Salvatore è trasportato all’interno della tomba. La firma del pittore si rileva nel pilastrino che delimita la tavola sulla destra; ma è interessante a proposito anche la crittografia che compare sulla manica del personaggio femminile sulla sinistra della tavola: si può infatti decifrare fra gli intrecci una data, il 1516, ed alcune lettere, sicuramente una L ed una V.
La predella, divisa in tre parti, contiene cinque diverse storie: La disfatta di Massenzio con l’esercito di Costantino che rincorre quello nemico; L’invenzione della Croce alla presenza dell’imperatrice Elena e del vescovo di Gerusalemme Maccario, Il miracolo del giovane risuscitato dal contatto col Legno e, più a destra, S. Elena che attraversa il fiume con il seguito delle sue dame; L’ingresso della reliquia in Gerusalemme.
I colori sono brillanti, metallici, la tavola è ricchissima di personaggi, tragedianti dai movimenti concitati, i cui gesti producono un ritmo incalzante e nervoso: ogni espressione è esasperata come nella rappresentazione di un dramma sul palco.
La tavola si trova dietro l’altare principale della chiesa di S.Croce ad Umbertide (PG), oggi adibita a museo.
L’Archivio Centrale di Roma conserva alcuni documenti risalenti agli ultimi anni del XIX secolo e dei primi del secolo successivo che testimoniano la volontà ed i tentativi da parte della Congregazione di Carità di Roma, ai tempi proprietaria della Deposizione, di vendere il quadro: si tratta della corrispondenza del Prefetto di Perugia, della Galleria Nazionale di Roma, del Ministero della Pubblica Istruzione nel tentativo d’impedire alla Congregazione l’alienazione della tavola, salvata dalla legislazione d’allora dopo aver già rischiato la migrazione nel periodo delle requisizioni francesi.
Fino al 1974 il quadro rimase dunque nella sua originaria collocazione, per poi essere trasportato nella sala delle riunioni dell’Ospedale civile di Umbertide, dove vi rimase per nove anni in precarie condizioni di conservazione, fino a quando, nell’aprile del 1983, fu inviato all’Istituto di Restauro di Roma. All’intervento di restauro, eseguito dopo molto tempo, e cioè negli anni 1993-1996, fece seguito la musealizzazione della tavola, sistemata nuovamente nella sua originaria collocazione dietro l’altare principale della Chiesa di Santa Croce.
Della figura del Cristo è conservato alla collezione Lugt di Parigi (2538) il disegno preparatorio.
La cronologia della tavola è certa: dai documenti che in seguito prenderò in analisi nello studio della genesi dell’opera e della sua committenza, sappiamo che la tavola fu portata a termine intorno alla metà del 1516.
Come risulta da diversi documenti, la tavola fu commissionata a Luca Signorelli dalla Confraternita di Santa Croce di Fratta (antico nome di Umbertide), nata probabilmente tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo; l’origine della congregazione è da ricondursi al propagarsi, nel territorio perugino, del movimento disciplinare legato al proselitismo di Raniero Fasani, pio laico che nel 1260 predicava l’espiazione delle colpe attraverso la pratica della flagellazione come rievocazione della Passione di Cristo. E’ probabile che la Confraternita di S.Croce originò proprio da uno di questi nuclei di flagellanti, la cui esistenza a Fratta è documentata già dall’inizio del XIV secolo con un privilegio concesso da Pietro di Rosso Gabrielli nel 1337, nel quale si parla di un’indulgenza di quaranta giorni per tutti coloro che avessero aiutato attraverso elemosine l’ultimazione dei lavori per la costruzione di un ospedale, gestito dalla stessa congregazione. La Confraternita era proprietaria a Fratta e nei territori circostanti di diverse strutture immobili, di una chiesa e dell’ ospedale sopra ricordato. L'istituzione era regolamentata da uno Statuto che entro certi limiti poteva essere modificato dai confratelli qualora ce ne fosse stato motivo; la copia più antica dello Statuto della Confraternita che ci è pervenuto è del 1567 e contiene la regolamentazione di tutte quelle pratiche cui l’istituto si dedicava. Oltre a costituire un forte punto di riferimento per la spiritualità del tempo, nel XVI secolo la confraternita dovette certo rappresentare un centro politico, economico e sociale di notevole importanza. Dallo Statuto conosciamo quali erano i compiti principali svolti da questa: la compagnia si occupava dell’ospedale, dell’accoglienza dei poveri, della distribuzione di elemosine, di fornire doti alle ragazze di famiglie meno abbienti e dei seppellimenti dei morti quando queste ultime non potevano provvedere al trasporto dei defunti.
Alcune notizie riguardo la confraternita e la sua storia ci vengono fornite da Francesco Mavarelli nelle sue Notizie storiche e laudi della compagnia dei disciplinati di S.Maria Nuova e di S.Croce nella Terra di Fratta( Umbertide). Dai suoi studi apprendiamo che il primo nome adottato dalla congregazione fu quello di S. Maria Nuova, dalla piccola chiesa in cui i confratelli si adunavano per dedicarsi alle attività religiose ed alla recitazione delle laudi. La chiesa, sorta verso la metà del XIII secolo nel Borgo Inferiore di Fratta, era inizialmente officiata da monaci agostiniani; la posizione era conforme all’ attività caritativa dell’ordine, sempre pronto ad offrire la propria disponibilità ai viandanti che, colti dalla notte, erano costretti a rimanere fuori dalla città. Tuttavia i rapporti fra i Disciplinati della nostra Confraternita ed i monaci dovettero presto allentarsi, se già dal 1341 la chiesa veniva officiata da ecclesiastici di vari ordini religiosi o direttamente dal cappellano della compagnia; dal XVI secolo poi lo svolgimento dei riti sacri spettò ai frati dell’attigua comunità francescana ed in seguito ad un cappellano compensato con 30 scudi avente anche il compito di fare scuola ai giovani ragazzi del paese.
Già dal 1338 compare il nome di S.Croce: in quell’anno venne concessa infatti un’indulgenza di 40 giorni a coloro che avessero visitato la chiesa e l’ospedale durante determinati giorni, tra cui anche quello della dedicazione a S.Croce: in un breve emanato dal vescovo di Gubbio la compagnia viene indicata come Fraternita dei Disciplinati di S. Maria Nova e di S. Croce.
Il canonico Guerrini ed il professore Lupattelli affermano che la Confraternita assunse ufficialmente il nome di Compagnia di S.Croce nel 1566, anno in cui si unì alla compagnia di S.Girolamo della Carità di Roma.
Nel periodo che va dal 1798 al 1814, negli anni cioè dell’ occupazione francese, la compagnia cambierà il proprio nome con quello di Compagnia del Sacramento in S. Croce per evitare la soppressione.
Dall’analisi dei documenti si desume che l’originaria chiesetta in cui i confratelli si adunavano doveva misurare circa un terzo dell’attuale, fornita di un porticato ristrutturato nell’anno 1536 e demolito nel 1556, quando ci fu un primo ampliamento, per il quale fu necessario appropriarsi di un muro appartenente ai Francescani. Nel 1606 ci fu un secondo ampliamento, per eseguire il quale fu chiesto dalla Confraternita il permesso di occupare il terreno del prato dei frati, l’attuale piazza S.Francesco. Fra gli anni 1635-1647 gli ultimi lavori: l’edificio prenderà la forma attuale.
Dei rapporti che intercorsero tra il pittore ed i suoi committenti abbiamo in questo caso una documentazione interessante, contenuta per lo più in un importante registro del XVI secolo in cui la Confraternita annotò tutte le entrate e le spese fatte nel periodo che a noi interessa. Inoltre si riferiscono alla Confraternita, a Luca Signorelli ed alla tavola della Deposizione di Umbertide, alcuni documenti conservati nell’Archivio di Stato di Perugia e nell’Archivio Notarile di Umbertide, parte dei quali rimasti fino ad ora sconosciuti. A Perugia è un atto fino ad ora inedito, rogato da Berardino di Nicola di Costanzo di Fratta, con cui la Confraternita elegge Ursino di ser Giovanni e Iacopo Arcangeli procuratori “ad pasciendum et patos faciendum et obligationes et ad promittendum nomine dicte fraternitatis, obligandum et promissiones recipiendum a prefato magistero Luca pro pingendo per ipsum unam tabulam sive cunam ad predictum promissionis instrumentum vel instrumenta locationis ad pingendum conferendum, celebrandum, cum pleno et sufficienti mandato... “.
È questo il primo documento rogato per la Confraternita che fa menzione della tavola, e già compare il nome del pittore che di li a poco avrebbe iniziato il lavoro: è l’8 luglio 1515. L’atto notarile, oltre che per l’importanza del suo contenuto, conferma la correzione di vecchie trascrizioni di documenti già conosciuti ma pubblicati secondo un’interpretazione paleografica non troppo corretta in alcuni punti peraltro significativi del testo, interpretazioni che, lo vedremo più avanti, hanno contribuito fino ad ora ad alimentare ipotesi per le quali in effetti prove documentarie risultano invece inesistenti, o quantomeno sconosciute: tutto ciò è stato verificato attraverso una più corretta trascrizione di termini chiaramente leggibili nel testo originale perugino e che ricorrono pure in alcuni documenti successivi, conservati nell’Archivio Notarile di Umbertide, riportati più sotto. Purtroppo non è stato possibile rintracciare tra i registri notarili conservati ad Umbertide e nell’Archivio dello Stato di Perugia l’atto contenente l’accordo tra la le due parti circa la realizzazione della tavola. Tuttavia abbiamo la ricordata serie di registrazioni contenuta nella contabilità della compagnia, la quale ci informa dei rapporti tra il pittore ed i suoi committenti. Dai documenti sappiamo che negli anni in cui Signorelli è chiamato a realizzare la tavola, depositario della Confraternita era Censorio di ser Giovanni: suo è il compito di annotare le registrazioni dei pagamenti fatti dalla compagnia al pittore. La prima nota che si incontra nel ricordato Libro delle entrate e delle uscite della Confraternita di S. Croce, contenente i pagamenti fatti al cortonese, si riferisce alle spese occorse per pagare il notaio che ha rogato il contratto; scrive infatti Censorio di ser Giovanni:
-“Item, al nottario che fece el gontratto de la tavola……fio 0-4-0. “
Dalla registrazione sappiamo che il notaio che ha rogato l’atto di commissione della tavola, di cui purtroppo non si conosce l’identità, è stato pagato con quattro baiocchi.
Più sotto si legge:
-“Item, prestai a la Fraternita doi Ducati quali pagai al pentore . . Fior.3-36-0 “:
non disponendo di denaro in cassa, la Confraternita si fa prestare due ducati dal depositario Censorio di ser Giovanni; è il primo acconto ricevuto da Luca Signorelli.
Quindi nel registro troviamo scritto:
-“A Renzo che sta cum Berardino per mandallo cum una lettera a mastro Luca . Fio. 0-24-0“ :
per la prima volta compare il nome di Luca fra le registrazioni del libro; con tutta probabilità questi si trovava a Cortona, considerando la consistenza della spesa fatta dalla Confraternita per inviare al pittore il messo con la lettera.
Le registrazioni successive riferibili a Luca Signorelli e alla tavola informano:
- “Item per li…. per conciarli per lo pentore . . Fio. 0-7-0 “
(purtroppo il termine mancante è indecifrabile);
-“Item in una soma de lengnie per lo pentor . . Fio 0-2-6 “ ;
-“Item in paglia e candele di sego per lo pentore . . Fio.0-4-0“ ;
Per il pittore che stava lavorando alla tavola vengono acquistate legna, paglia e candele di sevo; probabilmente Luca Signorelli è ad Umbertide;
-“A mastro Luca pentore uno fiorini Fior.1-0-0“;
si tratta evidentemente di un acconto pagato al cortonese;
-“item per le tavole per la capsa per la tavola Fior. 1-0-0“;
si tratta della messa in opera dell’originaria cornice della tavola.
Il termine capsa, trascritto in precedenza come cappa, dal significato incomprensibile, è invece da intendersi, secondo una più corretta trascrizione, come l’ apparato di contenimento del quadro.
A questo punto si collocano due atti notarili rogati da due diversi notai di Fratta, Berardino di Nicola di Costanzo e Marino Spunta: nei loro documenti si legge che la Confraternita, bisognosa di denaro, vende alcune parti di terreni di sua proprietà: il 26 giugno 1516 viene venduta a Bartolomeo Cristiani “eminas duas […] de uno tenimento terre posite in tenimento dicti castri Fratte in vocabulo Ranco Giorgio […] et plus et minus […] ut ascendant ad valorem florenorum quadraginta“; il giorno 26 del mese successivo, la Confraternita vende allo stesso Bartolomeo un ulteriore parte di terreno, “in curia castri Montonis in vocabulo Faldo del valore questa volta di XX fiorini, denaro che “idem Ursinus prior habuit in contanti pro solvendo magistro Luce de Cortonio pictori pro pictura tabule picte in altari Sante Crucis, videlicet pro rata. “
Quindi è la seguente annotazione del ricordato Libro delle entrata e delle uscite:
-“A mastro Luca a di 29 de luglio nel 1516 per ragione de la tavola Fio. 70-0-0. “
E’ la registrazione di un nuovo pagamento a Luca Signorelli, molto consistente: la tavola dovette a questo punto essere finita.
Nel registro seguono le seguenti note:
- “Item per mancia ad li garzoni di mastro Luca . . . Fior.0-72-0“;
dopo aver pagato il pittore, anche ai garzoni è offerta la propria mancia;
-“ Item a mastro Goro che mise su la tavola . . Fior. 0-67-0. “;
più o meno alla fine di luglio del 1516, la tavola viene sistemata nella collocazione cui era destinata, e cioè dietro l’altare maggiore della chiesa.
- “A mastro Luca e per lui a Pietro Paolo di Renzo . . Fior. 1-0-0. “.
Siamo ora all’anno successivo, il 1517, e continuano i pagamenti al pittore:
-“ A mastro Lucha per la tavola …fio. 8-0-0“.
Seguono quindi altre spese:
-“ In oro e colla per la pietà . . Fior. 0-35-6“ ;
E’ la registrazione relativa alla spesa fatta dalla Confraternita per l’acquisto di materiale da impiegarsi nella doratura della cornice originaria.
Del 1527 è un atto rogato dal notaio Marino Spunta di Fratta, con il quale la Confraternita restituisce a Meo – Bartolomeo - Cristiani trenta fiorini, “quos idem Meus mutuaverat gratia et amore dicte fraternitati et hominibus ipsius pro solvendo mercedem sua magistro Luce de Cortonio pictori pro pictura quam fecerat de tabula seu cuna capelle et fraternitatis Sancte Crucis in ecclesia predicta existente in altari maiori “. Una diversa lettura dell’espressione “seu cuna”, trascritta erroneamente “seu cima”, ha contribuito, come vedremo, a credere all’ipotesi che il pittore avesse realizzato per la Confraternita, oltre alla tavola con la Deposizione, anche una sorta di suo completamento, una lunetta con la Pietà; in realtà però il ritrovamento del documento di Perugia e soprattutto la nuova indagine paleografica hanno permesso di correggere le trascrizioni dei documenti relativi alla tavola in alcuni punti, giungendo a conclusioni contrarie a quelle tradizionalmente sostenute: l’espressione “ seu cuna” compare già nel primo documento ricordato, ove i due termini sono davvero chiaramente leggibili, e si riferisce all’intera pala d’altare.
La tavola fu collocata nella parete dell’altare maggiore della chiesa originaria di S.Croce. L’elaborato lavoro ad intaglio che incornicia ancora oggi la tavola fu realizzato nel 1612, ben adeguandosi al gusto sfarzoso e ricco di quell’epoca: è opera di Giampietro Zuccari di S.Angelo in Vado, come ricordano le fonti archivistiche.
Come ho accennato, un’ errata interpretazione delle fonti ha dato origine all’idea che oltre alla realizzazione della tavola con la Deposizione fosse stata realizzata dal Signorelli anche una lunetta con una Pietà da collocarsi sopra la tavola. Il primo a sostenere una tale ipotesi fu il Guardabassi, che in suo manoscritto conservato nella Biblioteca Augusta di Perugia parlando della tavola ne ipotizza il compimento, consistente appunto in una lunetta con la Pietà. Lo studioso fa derivare l’idea dalla forma del dipinto, quasi quadrato, e soprattutto da quella annotazione contenuta nel ricordato Libro delle entrate e delle uscite, in cui si appunta la spesa di 35 soldi e 6 denari per l’oro e la colla “ per la Pietà “. Girolamo Mancini fu dello stesso parere. Discorde l’opinione del canonico Antonio Guerrini, che nella sua Storia della terra di Fratta scrive: “ Ma quale Pietà? se nel 1517 fu dessa restaurata, quando nel 1616 li nostri egregi Artisti Flori e Sermigni sostituirono in quell’altare ad una cornice di pietra la grandiosa Mostra di legno intagliata, e dorata, che tuttora esiste, avrebbero al certo nella loro sapienza, nel loro amore per l’arte religiosamente rispettata (comunque ridotta) quella parte interessante del nostro classico Quadro!“ Dell’esistenza dell’ ipotetica lunetta di completamento si parla anche negli studi più recenti, a carattere locale, compiuti sul Nostro, ai quali ora ho spesso fatto riferimento. La nuova interpretazione e trascrizione delle fonti archivistiche e l’insieme di informazioni derivate dai nuovi documenti rinvenuti, ci porta però ad escludere l’esistenza dell’ipotetica cimasa, o quantomeno a constatare che in realtà nelle fonti ricordate non esiste alcun riferimento a questa. L’utilizzo del termine Pietà è da riferirsi al contenuto della tavola, che raffigura la Crocefissione del Cristo e dei ladroni, la Deposizione, il Compianto o Pietà ed il Trasporto del corpo di Cristo al Sepolcro. Pietà è il termine con cui nel ‘500 venne indicata la grande tavola ed il suo contenuto.
Il carattere di teatralità del quadro, che ho già messo in evidenza, sembra richiamare le narrazioni inscenate dalle varie congregazioni religiose del tempo, fra le quali anche la Confraternita di S.Croce. Quella delle Sacre Rappresentazioni era un’attività tipica di questi gruppi di flagellanti, fin dalle loro origini. Che questo tipo di teatro sacro fosse praticato anche dalla Confraternita di Santa Croce di Fratta sono prova alcuni testi di contenuto religioso tramandati per iscritto e che venivano recitati dai confratelli in particolari occasioni e festività, spesso con l’ausilio di scenografie apposite.
In un inventario della compagnia redatto nel 1341 risulta che fu ordinato “unum librum cartarem bombicinarum in quo sunt laudes” purtroppo non pervenutoci: i componenti della raccolta si incentravano sul tema della Passione di Cristo, soggetto della grande tavola ed espressione dello spirito devozionale penitente dei Disciplinati.
Alcuni componimenti religiosi erano recitati in processione. Più spesso erano inscenati nell’oratorio; in queste occasioni erano utilizzati alcuni apparati scenici, soprattutto quando alla laude a canto univoco subentrò quella a canto alterno ed alla narrazione il dialogo fra più personaggi.
Ci è possibile ricostruire in via ipotetica il contenuto parziale dell’antico libro andato perduto grazie alla trascrizione di mano ignota dei versi di una laude a canto univoco sul tema della Passione di Gesù Cristo e una rappresentazione drammatica a più personaggi che prevedeva l’utilizzo di un apposito apparato scenico, la Rapresentacio sancte apolonie virginis. Negli inventari della Confraternita compaiono inoltre oggetti ed indumenti utilizzati per gli spettacoli: Mavarelli scrive a proposito: “Troviamo infatti notato tra gli altri oggetti ed utensili necessari per i sacri spettacoli una “vesta de camoscio” la quale evidentemente si riferisce ad una laude o rappresentazione avente per oggetto la passione di Gesù Cristo e non è a supporsi che nella non grande raccolta vi fossero state più laudi trattanti lo stesso soggetto”.
In particolare il testo che ci è pervenuto incentrato sulla Passione di Gesù Cristo, datato 1496, che veniva inscenato dai confratelli in occasione di determinate feste e ricorrenze religiose, inizia così:
La passione di christo
Piangiamo cum dolore
Per noi fo crucifixo
Yeshu nostro signore
Piangete amaramente
Et non ve perdonate
La vergine dolente
Per dio la compagnate
Si voi considerate
Dolor che la sentiva
Quando jl figluol vedea
Morir fra doi latronj
Nella Deposizione Luca Signorelli sembra aver impresso e bloccato il dramma dell’evento fatto rivivere dagli attori della sacra rappresentazione: la Vergine svenuta dipinta ai piedi della Croce è quella del testo, che “ Sentì si gran dolore/ Lo cor lo venne meno/ giu in terra trangoscione” ; e così il Cristo che “… fo incoronato/ De li crudele spine / Lo capo insanguinato. […] Yeshu si fo spogliato / De tucti i vestimenti/ Steva svergognato/ In fra cotanta gente […] Li vestimenti de sotta / Tucti eran pin de sangue / havean fatti la croccia / tucti era pin de sangue / Quello era il dolor grande /quando lo spoliaro / Le piaghe rinovaro / che li dier le battiture ”. La tavola sembra riferirsi al brano anche nei dettagli, come per esempio nel chiodo tolto dai piedi del Cristo che “ Era si smisurato”, “ Era si grande aguto “. Così il pittore rimane fedele alla descrizione del corpo irrigidito del Salvatore che compare nel brano.
In generale la maggior parte della critica si trova concorde nel giudicare l’opera autografa e la ricorda spesso come il capolavoro della vecchiaia del pittore. L’intervento della bottega, quando viene individuato, è per lo più circoscritto alla predella, che tuttavia i più tra gli studiosi esaltano come la migliore tra le sue. Giudizi contrastanti sulla tavola furono espressi nella seconda metà dell’800: Guardabassi la descrive come una delle migliori opere di Luca Signorelli, mentre Cavalcaselle e Morelli la ritengono poco accurata. Mentre la Cruttwell si dice convinta della paternità signorelliana della tavola, Mancini non reputa l’esecuzione della stessa troppo pregevole, apprezzandone però con giudizio entusiastico la predella con le Storie delle Vera Croce. Secondo Venturi l’opera andrebbe ascritta a Luca Signorelli assieme alla bottega. Differentemente dalla maggior parte della critica, Morisani tende ad individuare la mano di Signorelli per lo più anche nella predella; viceversa la Lenzini Moriondo ribadisce un consistente intervento della bottega pure nella tavola principale. Propendono per l’attribuzione al maestro Salmi, Scarpellini e la Pazzagli. Giudizio entusiastico quello recente di Kanter sull’esecuzione di alcune porzioni di tavola, per il critico sicuramente di mano del Signorelli; da attribuirsi al maestro sono senza dubbio la figura della donna pia sulla sinistra, quella del Cristo morto, il S. Giovanni Evangelista; alcuni brani di qualità inferiore, come la scena del Seppellimento del Cristo, suggeriscono nella tavola l’intervento di un collaboratore, identificato da Kanter con Francesco Signorelli, cui si deve pure la predella che “non rivela minimammente l’intervento della mano più sicura e vigorosa di Luca.” Gli ultimi studi cui ho accennato, dai commenti di Kanter alle osservazioni di Henry, sono stati condotti sulla base dei documenti già conosciuti, spesso errati nella loro interpretazione, senza le considerazioni permesse dalle correzioni paleografiche assieme al ritrovamento di nuovo materiale documentario.
In merito alla possibilità che siano intervenuti gli aiuti nella realizzazione della pala, argomento maggiormente discusso dagli studiosi, crediamo che una parziale collaborazione del maestro con gli aiuti possa essere probabile, considerando la data di esecuzione della stessa, trattandosi cioè di un lavoro della tarda maturità dell’artista, quando questi si trovò ad impiegare sovente il supporto della bottega. C’è in proposito da riferire di un documento inedito conservato nell’Archivio di Stato di Perugia, un atto notarile rogato da Berardino di Nicola di Costanzo di Fratta “ in capella sive ecclesia Sancte Crucis “. Il documento concerne la nomina di un procuratore da parte di Ursino di ser Giovanni, priore della Confraternita nel periodo in cui Luca Signorelli fu chiamato a dipingere la tavola, porta l’anno 1516 e viene redatto alla presenza del pittore Vittorio di Montone. Ciò induce a pensare che Vittorio Cirelli, artista montonese che presso Luca Signorelli si avviò alla pittura, abbia potuto collaborare all’esecuzione della tavola, volendo però personalmente pure credere che nella Deposizione la mano del più anziano maestro sia comunque da rintracciarsi nella maggior parte della stessa e che agli aiuti siano state fatte portare a termine porzioni esigue dell’intero lavoro, di fattura pregevolissima anche nelle scene narrative della predella.
Fonti:
Bibliografia: Mancini 1832, II, pp. 72-73; Gualandi 1845, pp. 36-38; Milanesi 1850, p. 154; Waagen 1850, pp. 568-569; Crowe e Cavalcaselle 1871, p. 32; Guardabassi 1872, pp. 354-355, 367; Waagen 1875, pp. 135-136; Vischer 1879, pp. 114, 270-271; Berenson 1897, p. 181; Magherini Graziani 1897, pp. 212-215; Crowe e Cavalcaselle 1898, pp. 481-494; Cruttwell 1899, pp. 14, 100-102, 139; Mancini 1903, pp. 207-211; Berenson 1909, pp. 251; anonimo 1909, p. 70; de Wyzewa 1910, pp. 335-343; Venturi 1913, pp. 301, 402-406; Crowe e Cavalcaselle (cur. Borenius) 1914, pp. 107, 109; Venturi 1921, p. 65; Salmi 1921, pp. 13-14; Dussler 1927, p. 209, tavv. 141, 143-144; Berenson 1932, p. 533; van Marle 1937, pp. 90-92; Morisani 1942, pp. 31-32; Cortona/Firenze 1953, pp. 111-113, nn. 58-59; Salmi 1953, pp. 35, 59, 66-67, 72; Salmi 1953 a, pp. 116, 118; Baldini 1964, p. 489; Scarpellini 1964, p. 125; Lenzini Moriondo 1966, p. 28; Berenson 1968, p. 400; Battisti 1971, I, p. 489, n.249 ( ed. 1992, p. 376 ); Mancini e Scarpellini 1983, pp. 33-34; Kanter 1989, pp. 244-248; Lightbown 1992, p. 152; Codovini e Vispi 1994-1998, p. 1-19; Van Cleave 1995, pp. 156-157; Henry, Kanter, Testa, pp. 153-154, 239-240.
APPENDICE DOCUMENTARIA
…
60. 1514 febbraio 13, Umbertide
ASPg, Notarile, not. Berardino di Nicola di Costanzo, Bastardelli, 931, cc. 509r-510r
Giovanni Francesco del fu Alberto di Umbertide e cittadino perugino, sindaco e procuratore della fraternita di S. Croce e Raniero di Giovanni, priore della fraternita, vendono a Matteo di Alberto del detto luogo, stipulante per gli eredi di Felice di Gentile di Perugia ogni diritto ed azione che la confraternita ha o può avere in futuro su tre quarti di un pezzo di terra situato nelle vicinanze del castello in vocabolo Botani per il prezzo di diciotto fiorini che confessano di aver ricevuto e per i quali perciò rilasciano la quietanza di pagamento.
61. 1515 luglio 8, Umbertide
ASPg, Notarile, not. Berardino di Nicola di Costanzo, Bastardelli, 932, cc. 407r- 408r
Ser Censorio di ser Giovanni, Orsino di Giovanni, Piergentile di ser Giovanni, Giacomo di Arcangelo, Pierangelo di Giacomo, Ciono di Piero, Meo di Filippo, Raniero di Giovanni camerlengo, Meo, Cristoforo di Silvestro, adunati nella cappella di S. Croce nominano come propri procuratori Orsino di Giovanni e Giacomo di Arcangelo, incaricandoli di fare i patti e le obbligazioni ed a promettere a nome della fraternita con mastro Luca pittore di Cortona ed a ricevere dallo stesso le promesse “pro pingendo per ipsum unam tabulam sive cunam” ed a fare con lui l’atto di allocazione della stessa.
62. 1516 marzo 9, Umbertide
Biblioteca Comunale di Umbertide, Archivio Notarile, not. Paolo quondam Cristoforo Martinelli, 76, c. 68v.
Giovanni Francesco del fu Alberto di Andrea di Umbertide, come sindaco e procuratore della fraternita e dell’ospedale di S. Croce del detto luogo, avendo un mandato sufficiente, come risulta dagli atti del notaio umbertidese ser Bernardino, e Orsino di Giovanni, priore della fraternita ed anche Paolo di Sebastiano di Paolo, camerlengo vendono a Francesco e Piermatteo del fu Giacomo Martinelli, di Umbertide, ed al notaio, stipulante per il loro fratello Renzo, un pezzo di terra situato nelle vicinanze del detto castello in vocabolo Ranco Giorgio indiviso per un’altra quarta parte con il fratello Nicola per il prezzo di di trentuno fiorini e mezzo, che confessano di aver ricevuto in contanti ed in denaro numerato in oro e moneta, per i quali perciò rilasciano la quietanza di pagamento.
63. 1516 giugno 26, Umbertide
ASPg, Notarile, not. Berardino di Nicola di Costanzo, Bastardelli, 932, cc. 791v.-794v.
Giovanni Francesco del fu Alberto di Umbertide e cittadino perugino, sindaco e procuratore della fraternita di S. Croce insieme al priore Orsino di Giovanni, al camerlengo Raniero di Giovanni ed ai confrati ser Censorio di Giovanni, ser Marino di Domenico, Giacomo di Arcangelo e Piergentile di ser Giovanni vendono a Bartolomeo Cristiani due mine di un pezzo di terra situato nelle vicinanze di Umbertide in vocabolo Ranco Giorgio e più o meno che ascenda al valore di quaranta fiorini, che confessano di aver ricevuto e per i quali perciò rilasciano la quietanza di pagamento.
64. 1516 luglio 26, Umbertide
Biblioteca Comunale di Umbertide, Archivio Notarile, not. Marino Spunta, prot. 105, 2° quinterno (numerazione ad annum), c. 78v.
Orsino del fu Giovanni di ser Orsino di Umbertide, priore della fraternita di S. Croce dello stesso luogo, e ser Censorio di ser Giovanni, Giacomo di Arcangelo di Nicola ed Antonio di Piero, officiali ed uomini della detta fraternita, avendo l’autorità di fare le cose infrascritte dall’adunanza generale della confraternita, obbligando tutti i beni dell’ospedale e della stessa fraternita, vendono a Bartolomeo del fu Tommaso Cristiani di Umbertide un pezzo di terra situato in vocabolo Faldo del distretto di Montone per il prezzo di venti fiorini o per il prezzo maggiore e minore che sarà stimato da due uomini eletti comunemente. I quali venti fiorini lo stesso Orsino priore confessa di aver ricevuto in contanti per pagare “magistro Luce de Cortonio pictori pro pictura tabule picte in altari Sancte Crucis, videlicet pro rata” con il patto di poterla ricomprare entro dieci anni.
65. 1516 agosto 26, Umbertide
ASPg, Notarile, not. Berardino di Nicola di Costanzo, Bastardelli, 932, c. 837v.
Orsino di Giovanni di ser Orsino nomina come procuratore Censorio di ser Giovanni incaricandolo di rappresentarlo in ogni lite. L’atto è fatto “in capella sive ecclesia Sancte Crucis” alla presenza del pittore di Montone Vittorio.
66. 1527 aprile 6, Umbertide
Biblioteca Comunale di Umbertide, Archivio Notarile, not. Marino Spunta, prot. 105, 3° quinterno (numerazione ad annum), c. 67v.
Meo del fu Tommaso Cristiano alias Mascio di Umbertide confessa di aver ricevuto da Nardo del fu Mariotto di Giovanni di Meo, priore al presente della confraternita di S. Croce di Umbertide e stipulante per la detta fraternita, trenta fiorini, che Meo aveva prestato “gratia et amore dicte fraternitati et hominibus ipsius pro solvendo mercedem suam magistro Luce de Cortonio pictori pro pictura quam fecerat de tabula seu cuna capelle et fraternitatis Sancte Crucis in ecclesia predicta existente in altari maiori”, come di detto prestito risulta da un atto rogato dal notaio di Umbertide ser Berardino di Nicola di Costanzo. Meo fa ciò perché confessa di aver ricevuto i denari in questo modo, cioè ventotto fiorini da Giuliano di Angelo di Luca Fornari depositario della fraternita e due fiorini dal notaio stesso, dei quali trenta fiorini così ricevuti rilascia perciò quietanza di pagamento.
67.
La passione di christo
Piangiamo cum dolore
Per noi fo crucifixo
Yeshu nostro signore
Piangete amaramente
Et non ve perdonate
La vergine dolente
Per dio la compagnate
Si voi considerate
Dolor che la sentiva
Quando jl figluol vedea
Morir fra doi latronj
Tempo e da resiughiare
E piangere cum dolore
L annima comtemplare
La sancta paxione
Che troppo ce sen duri
Che noi non ne sentimo
Dapoi che noi credemo
Jeshu morir per noi
Che dio morir per noi
La storia recontare
Con tucto quanto jl core
Devariame pensare
Che non ce puoi bastare
Ne lengua ne scriptura
La morte che fo dura
Del nostro Salvatore
Venne jl giovedì a sera
Presso a la paxione
Yeshu fece la cena
Cum li discipol suoie
Tucti comunicoe
E puoi le lalvò i piei
Yeshu volse servire
A giuda traditore
Yeshu il volse confortare
Cum dolce parlamento
Che li devea lasciare
In gran dubitamento
Che sappressava jl tempo
Yeshu dovea morire
Devemo aremanire
En gran tribulatione
Yeshu a monte oliveto
Andò ad oratione
Menò giovanni et pietro
E jacobo magiure
Yeshu se spaventone
Che avea verace carne
Sudò gocce de sangue
Si fortemente orava.
Li apostoli dormiano
E christo pur veghiava
Ma poco se sentivano
Della pena che portava
Lo patre suo chiamava
Ma già nol saudiva
In ante pur volea
Che morisse per noi
E giuda traditore
Veniva cum gran gente
Per tradir il signore
Veniva prontamente
Che disse il fraudolente
Maestro dio to salvi
Allora se fea avanti
E in bocca lo bascione
Veniva quilla gente
Cum molti gran lumi
E pietro incontinente
Un coltel trasse fuore
La orecchia ad un taglone
E Christo li dicia
Coltel torna in guaina
che piace al su signore
Quando Christo fo preso
Non fece alcun fiato
A lui le man derieto
Strette fuoro legate
Yeshu si fo menato
A guisa de ladrone
Che l aveano abandonato
tucti li amici suoie
E pietro si l negone
Giovanni sen fugiva
Per noi l’ abandonone
Lo patro suo del cielo
Christo figliol de dio
Che fo lassato solo
Ne se trovo veruno
Che volesse star cum lui
E pietro doloroso
Cercando Christo gia
Ando a scaldarse al fuoco
A casa d anna pria
Una ancilla li dicia
Tu sei de la su gente
Respose incontente
Nol cognovi mai piune
Cum multa gran paura
Se mise ad ecusarne
fierlo giurare alora
Cum bocca et cum le mani
Dicove in veritade
Non saccio chi se sia
Mai a la vita mia
Non l cognovi mai piu
Venne la prima sera
E lo gallo cantone
E fra se dicia
Perche s arcordone
Negato ho l mi signore
Tre volte che l dicia
Non so ove io ne sia
Si io non artrovo lui
Yeshu fo presentato
Che fosse traditore
Yeshu si fo acusato
Cum falsi testimoni
faccialli gran romore
dicendo spolglia spolglia
Legallo ala colonna
Stretto cum le fune
Cum tanto de dur flagello
feciarlo flagellare
tanto era morbedello
tucto il feciar tremare
Senza nulla pietade
Davalli a la recisa
La carne tutta alisa
Pina de lividore
Tutto quella sera
Li dier le battiture
L coperson in anta gl ochi
Che non vedesse lume
E per più desonore
Nel viso li sputaro
La barba li pelaro
per darli più dolore
Tirravan li capelli
Davanli le guanciate
E quelli eran li sicari
Ch eran si scelerati
Danvanli le barbate
Et cum man recisa
D profetizza
Chi te feci de noi
Yeshu fo incoronato
De li crudele spine
Lo capo insanguinato
Corialli sino ai piei
Ridevan li giudei
Lo capo percoteano
Cum le canne il feriano
facendose beffe de lui
La virgine maria
havea si gran tremore
che tucta quella sera
sentì si gran rumore
Alore adimandone
e disse ad una ancilla
Sai me tu dir novella
Del mi figluolo Yeshune
Lo tu figluolo e preso
madonna in veritade
E tanto l e ferito
Che tucto e pien de piaghe
Lo tu figluol domane
Sera sententiato
Tu l vederai impicato
En forca de ladrone
Madonna non posava
E non trovava luoco
Li apostoli dimandava
Se l avessero veduto
Se l e vivo o morto
Dicetelo in veritade
Non posso più portare
Che me se parte il core
Parlo giovanni et pietro
E disseraro a la madre
Lo tuo figlolo e preso
Sapenlo ma n citade
Non ce possemo intrare
che son chiuse le porte
doman li dan la morte
senza alcuna ragion
Madonna questo udie
Sentì si gran dolore
Lo cor lo vene meno
Giù in terra trangoscione
Dicia figliuolo amore
Non festi ma peccato
Che stai imprigionato
Non eri tu ladrone
Venne poi la domane
Trassarlo de prigione
Mandarlo a giudicare
Che fosse malfatore
Facean si gran romore
Dicia sii cricifixo
Dician sii crucifixo
Lassato sia il ladrone
Lassato sia il ladrone
Lassat sij barabano
E questo peccatore
Tucti il condamniamo
Fin a monte Calvario
Fierli portar la croce
Gridando ad alta voce
Sii morto cum dolore
Quando fo giudicato
Facea grande esitenza
La bocca di pilato
Si de quilla sententia
Venne l ora de terza
Mandarlo ad impicare
De fuor de la citade
Dove li malfattori
Fierli portar la croce
Erasi grave peso
Non se podia mutare
Tanto era indebelito
La madre li gia de rieto
Che lo volea aiutare
Non li se posea apresare
Tanto era gran romore
Facea si gran romore
De rietro li gian gridando
Faceanse beffe de lui
Il loto gli gian buglando
Givanlo spatassando
Presto il voleanmenare
Yeshu volea guastare
E doi ladro cum lui
La madre sua taipina
Pur lo voleva vedere
Pararse entero la via
Ove ch l dovea gire
Nol podde sostenere
Christo quando la vede
Si gran cordolglo gli venne
Che in terra strangoscione
Quando madonna il vedde
In terra strangosciato
Sentì si grande dolgla
Che se partia el fiato
Figluol mio fosti nato
A darme tanta pena
Or che farò tarpina
Si non te vederone
Tu porti si gran peso
Dolce figluol piacente
Per che te vie de rieto
Figluol cotanta gente
O madre mia dolente
Non me ne domandare
Menanme ad impicare
Cum quisti doi ladronj
Figluol non posso portare
So crucifixa teco
Et dove tu girai
Si te verrò de rieto
Quando sarai apeso
Nol podaro vedere
Figluol famme morire
Ch io non voio vivar piune
Poi che fo gionto al luoco
Ove devea dressare
Spoglarlo nudonudo
Senza nulla pietade
Or che facea la madre
Quando il vedea nudo
Dicia che fo figluolo
Non posso vivar piune
Yeshu si fo spogliato
De tucti i vestimenti
Steva svergognato
In fra cotanta gente
Erano scognoscenti
Cum villania tamanta
Che pur li panni de gamba
Se lassano ai ladroni
Li vestimenti de sotta
Tucti eran pin de sangue
Havean fatti la croccia
Tucti eran pin de sangue
Quello era il dolor grande
Quando lo spogliaro
Le piaghe renovare
Che li dier le battiture
Tolser li vestimenti
E misarce le sorte
Christo si diceano
Compiantese le volte ( ? )
Tu sei degno de morte
Ladro che vai guardando
De noi te vai vantando
Dici ch’eri signore
Yeshu si fo spoglato
E posto su nel legno
E stretto chiavellato
Cum tre chiavelli de ferro
Era si gran freddo
Quando elli il chiavellava
Lo sangue se ghiacciava
Che descurria di fuore
Le man li chiavellaro
Lassarlo spendolato
Li piei li sopronaro
Fo messo il terzo chiuovo
Era si smisurato
Era si grande aguto
E tanto fo battuto
Non se vedea de fuore
E tanto lo stiraro
Le nerbora stendea
Li ossa li schopparo
La carne si rompea
Lo sangue fuore escia
Cadea giù per la terra
O vergine polzella
Tanto era il tu dolore
…
…
…
Fotografie:
- Foto: Giulio Foiani
- Foto: Fabio Mariotti
BIBLIOGRAFIA
Anon. 1909
Anon., rassegna d’Arte Umbra, I, ( 1909 ), p. 70.
Baldini 1964
U.Baldini, Luca Signorelli, in Enciclopedia Universale dell’arte, XII, Venezia-Roma, 1964, pp. 487-491.
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E. Battisti, Piero della Francesca, Milano 1971, Milano 1992.
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B. Berenson, The Central Italian Painters of the Reinassance, Londra 1897.
Berenson 1909
B. Berenson, The Central Italian Painters, Londra 1909.
Berenson 1932
B. Berenson, Italian Pictures of the Reinassance, Oxford 1932.
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B. Berenson, Italian Pictures of the Reinassance, Central Italian and North Italian Schools, Londra 1968.
Borenius 1929
T. Borenius, Recensione di Dussler 1927, in “ The Burlington Magazine “ LIV ( 1929 ), pp. 41-42.
Codovini & Vispi 1994
R. Codovini & P. Vispi, I Dipinti di Luca Signorelli alla Fratta Perugina, Roma 1994.
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J. A. Crowe e G.B. Cavalcaselle, Geschichte der Italienischen Malerei, Lipsia 1871, vol. 4.
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J.A.Crowe e G.B.Cavalcaselle, Storia della pittura in Italia, Firenze 1898, vol. VIII.
Crowe & Cavalcaselle
[cur. Borenius ]1914
J.A.Crowe e G.B. Cavalcaselle, A History of Painting in Itali, vol. : Umbrian and Sienese Masters of the Fifteenth Century [ cur. T. Borenius ], Londra 1914
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M. Cruttwel, Luca Signorelli, Londra 1899.
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M. Gualandi, Memorie originali italiane riguardanti le belle atri, Bologna, 1845.
Guardabassi 1872
M. Guardabassi, Indice- Guida dei Monumenti Pagani e Cristiani… dell’ Umbria, 1872.
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M. Guardabassi, Appunti sulla chiesa di Santa Croce in Umbertine, vol. 5, fasc. 2258, ms. conservato nella Biblioteca Augusti, Perugia.
Guerrini 1883
A.Guerrini, Storia della terra di Fratta ora Umbertide dalle origini fino all’anno 1845, Umbertide 1883.
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T.Henry, L. Kanter, G. Testa, Luca Signorelli, Milano 2001.
Kanter 1989
L. Kanter, The Late Works of Luca Signorelli andi His Followers, 1489-1559, tesi di dottorato, New York University 1989.
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M. Lenzini Moriondo, Signorelli 1966.
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R. Lightbown, Piero della Francesca, New York, Londra- Parigi 1992.
Magherini Graziani 1897
G. Magherini Graziani, L’arte a Città di Castello, Città di Castello 1897.
Mancini e Scarpellini 1983
Cur. F.F. Mancini e P. Scarpellini, Pittura in Umbria tra il 1480 e il 1540, Milano 1983.
Mancini 1832
G.Mancini, Istruzione storico – pittorica per visitare le Chiese e i Palazzi di Città di Castello, Perugia 1832.
Mancini 1903
Girolamo Mancini, Vita di Luca Signorelli, Firenze 1903.
Mavarelli/Porrozzi
F.Mavarelli, Notizie storiche e laudi della Compagnia di disciplinati di Santa Maria Nuova e di Santa Croce, Umbertide …., cur. B. Porrozzi, L’opera di Francesco Mavarelli, Città di Castello 1998.
Milanesi 1850
C.Milanesi, G.Milanesi, C. Pini, V. Marchese, Note e commentario alla vita di Luca Signorelli, in G.VasarLI, 1985.i, Le Vite de’ più eccellenti Architetti, Pittori e Scultori, Firenze [ 1568 ] , cur. C. Milanesi et al. Firenze ( 14 vol. 1846-1870.) VI, 1850. pp. 136-158.
Porrozzi 1983
B.Porrozzi, Umbertide e il suo territorio, Città di Castello 1983.
Porrozzi 1998
B. Porrozzi, L’opera di Francesco Mavarelli, Città di Castello 1998.
Porrozzi 2001
B. Porrozzi, a cura di, Statuti e Ordini della Fraternita di Santa Croce in Fratta (Umbertide) dal 1567 al 1741, Città di Castello 2001.
Salmi 1921
M. Salmi, Luca Signorelli, Firenze 1921.
Salmi 1953
M. Salmi, Luca Signorelli, Novara 1953.
Salmi 1653 a
M.Salmi, Chiosa signorelliana, in “Commentari”, IV, (1953), pp. 107-118.
Van Cleave 1995
C.Van Cleave, Luca Signorelli as a Draughtsman, tesi di dottorato no pubblicata, Oxford University 1995.
Van Marle 1937
R. van Marle, The Development of the Italian Schools of Painting, XVI, L’Aia 1937.
Venturi 1913.
A Venturi, Storia dell’arte Italiana, VII. 2 Milano 1913.
Venturi 1921
A.Venturi, Luca Signorelli, Firenze 1921.
Vischer 1879
R.Vischer, Luca Signorelli und die Italienische Reinassance Eine Kunsthistorische Monographie, Lipsia 1879.
Waagen 1950
G.F. Waagen, Die Maler Andrea Mantegna und Luca Signorelli, in „ H Istorisches TaschenbUch“ 3.1 (1850 ) PP. 473-594, spec. PP. 554-594.
Waagen 1875
G.F. Waagen da A. Waagen, Uber Leber , Wirken und Werke der Maler Andrea Mantegna und Luca Signorelli, in Kleine Schriften von G.F. Waagen, Stoccarda 1875, pp. 80-144, in part. Pp. 128-144.
de Wyzewa 1910
T. de Wyzewa, A propos de quelques dessinsi italiens: une „Descente de Croix“ de Luca Signorelli, in „Revue de l‘Art Ancien et Moderne“, XXVII (1910), pp. 335-343.
ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI
-
S. C. C. = Archivio Storico di Città di Castello
A. S. Pg. = Archivio di Stato di Perugia
B. C. C. C. = Biblioteca Comunale di Città di Castello.
B. C. M. = Biblioteca Comunale di Montone
B. C. U. = Biblioteca Comunale di Umbertide